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Il Giudice formula una proposta conciliativa di € 85.000: condannata in sentenza a € 216.540 e a €18.000 di spese la parte che rifiuta e non partecipa alla mediazione
 

 
In NOME del POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di ROMA
SEZIONE XIII°
REPUBBLICA ITALIANA
 
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi
 
S E N T E N Z A
 
1 . La negligenza del difensore
2 . I fatti rilevanti
3 . Inadempimento e danni
4 . La proposta del giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc e la posizione delle parti
5 . La qualificazione in termini di giustificabilità o meno, della mancata partecipazione del convenuto ritualmente convocato al procedimento di mediazione attivato dall’attore su disposizione del giudice ex art.5 co.II° decr.lgsl.28/10 comma (mediazione demandata)
6 . Le conseguenze, sul merito della causa, della mancata comparizione in mediazione dell’avvocato convenuto, senza giustificato motivo. L’art.116 integra la prova, aliunde emergente, del danno causato dalla condotta negligente del difensore
7 . Le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione La sanzione del pagamento a favore dell’erario di una somma pari al contributo unificato
8 . La quantificazione dei danni
 
letti gli atti e le istanze delle parti,
osserva:
1 . La negligenza del difensore
Non si ritiene che sia utile o necessario procedere ad attività istruttorie ulteriori.
L’avvocato convenuto si è costituito tardivamente, in data 21.10.2013, dopo la scadenza dei termini di cui all’art.183 cpc e pertanto nessuna delle prove richieste dal medesimo va ammessa, con stralcio della documentazione prodotta.
Le domande dell’attore, fondate sugli atti regolarmente prodotti, sono fondate per quanto riguarda la sussistenza di una responsabilità professionale che va valutata in termini di colpa grave.
Tale qualifica della responsabilità serve solo per la completa valutazione della fattispecie, che implica l’innegabile sussistenza di negligenza oltre che di imperizia.
Infatti poiché la prestazione difettosa (rectius: inesatta), vale a dire la proposizione puntuale nell’appello contro una sentenza emessa in causa assoggettata pacificamente e per legge al rito lavoro, non è collocabile su un piano di particolare speciale difficoltà ai sensi dell’art.2236 cc [1], è sufficiente per radicare la responsabilità, giuridicamente significativa, la semplice colpa.
Invero il professionista convenuto ha proposto tardivamente (come dichiarato dalla Corte di Appello di Roma sent. 10.6.1994 e Corte di Cassazione sent. 21.3.2003) l’appello contro la sentenza n.7227 del 7.5.2009 del Pretore del Lavoro di Roma che aveva rigettato le domande dell’attore.
Richiamati e dati per noti i principi giurisprudenziali che regolano la materia (responsabilità professionale dell’avvocato) [2] non v’ha dubbio che nel caso di specie sia esistente colpa professionale dell’avvocato Raffaello nei confronti del suo cliente Gianfranco.
2 . I fatti rilevanti Nella sostanza si tratta di questo.
L’attuale attore aveva incaricato l’avv. Raffaello di introdurre una causa davanti al Pretore del Lavoro di Roma affinché venisse dichiarato che il rapporto di agenzia intercorso con la … spa si era interrotto per fatto e colpa della mandante con conseguente richiesta di condanna della medesima a corrispondergli la residua indennità di preavviso pari a £. 226.079.976, la somma di £.43.000 a titolo di risarcimento dei danni per la illegittima sospensione dell’incarico di supervisore, quella di £.26.799.000 a titolo di indennità di clientela, oltre a voci minori.
La ….. spa aveva invece svolto domanda riconvenzionale sostenendo l’illegittima interruzione del rapporto senza preavviso di Gianfranco e la condanna del medesimo al pagamento della somma di £.112.656.067 per indennità di mancato preavviso. Il Pretore aveva rigettato la domanda dell’attore ed accolto la domanda riconvenzionale della …… spa.
L’attore aveva infine pagato alla ….. spa, anche per evitare un’azione esecutiva, la somma di €.110.000.
Il danno veniva quantificato in €.248.245,00 composto da
– €.110.000 pagati a ….. spa;
– €.130.601 a titolo di indennità di mancato preavviso (€.116.760) e €.13.840 (indennità di clientela )
Oltre ad (improbabile spettanza di) €.7.644 per imposte sul reddito dell’anno 2003 (conseguenti al mancato inserimento degli esborsi a favore ….. spa nella dichiarazione dei redditi dell’esito del ricorso in Cassazione rigettato, non comunicato dall’avvocato Raffaello).
3 . Inadempimento e danni
Ciò detto, va affrontato l’altro aspetto della causa, non meno importante e molto meno certo. Vale a dire la sussistenza concreta del danno, in ordine alla quale vanno richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza [3]. Che applicati al caso concreto implicano l’accertamento e la valutazione (virtuali e controfattuali) del se, ove introdotto l’appello e doverosamente coltivato dall’avvocato convenuto, sarebbe stato ribaltato a favore dell’attore, ed in modo definitivo in caso di ricorso in cassazione da parte della spa Fideuram, il verdetto di primo grado.
4 . La proposta del giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc e la posizione delle parti
Con ordinanza del 11.11.2013 il giudice provvedeva come di seguito riportato:
Il Giudice, dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti, osserva:
Si ritiene che in relazione all’istruttoria fin qui espletata ed ai provvedimenti già emessi dal Giudice, le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo.
Infatti, considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause, una tale soluzione, che va assunta in un ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che essere vantaggiosa per entrambe.
Il Giudice pertanto si astiene, allo stato, dal prendere posizione su qualsiasi ulteriore istanza istruttoria, ammessi i documenti prodotti.
Invero la controversia non ha fatto emergere questioni di diritto complesse, e dubbi tali da richiedere approfondite analisi e difficili interpretazioni dei testi normativi.
Lo si dice in quanto la condizione postulata dall’art.185 bis (come introdotto dall’art.77 del d.l.21.6.2013 n.69 conv. nella l.9.8.2013 n.98) della esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, trova il suo fondamento logico nell’evidente dato comune che è meno arduo pervenire ad un accordo conciliativo o transattivo se il quadro normativo dentro il quale si muovono le richieste, le pretese e le articolazioni argomentative delle parti sia fin dall’inizio sufficientemente stabile, chiaro e in quanto tale prevedibile nell’esito applicativo che il Giudice ne dovrà fare.
Anche la natura ed il valore della controversia in un accezione rapportata ai soggetti in causa, sono idonei a propiziare la formulazione di una proposta da parte del Giudice ai sensi della norma citata.
La quale, trattandosi di norma processuale, in applicazione del principio tempus regit actum, è applicabile anche ai procedimenti già pendenti alla data della sua entrata in vigore.
In particolare si formula la proposta in calce sviluppata, che è parte integrante di questa ordinanza.
Benché la legge non preveda che la proposta formulata dal Giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc debba essere motivata (le motivazioni dei provvedimenti sono funzionali alla loro impugnazione, e la proposta ovviamente non lo è, non avendo natura decisionale); tuttavia si indicano alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nella opportunità e convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente.
Sotto tale ultimo profilo, vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del Giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del Giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato.
Va infine precisato che la proposta del Giudice non è disgiunta da una certa dose di equità che ben si attaglia a questa fase.
Alle parti si assegna termine fino alla data del 31.1.2014 per il raggiungimento di un accordo amichevole sulla base di tale proposta.
Dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg. 15 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’ art.5 del decreto; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Viene infine fissata un’udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni al riguardo (relativamente alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt.91 [4] e 96 III° cpc [5].
P.Q.M.
•     INVITA le parti a raggiungere un accordo conciliativo/transattivo sulla base della proposta che il Giudice redige in calce; concedendo termine fino alla data del 31.1.2014;
•     DISPONE che le parti, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, procedano alla mediazione della controversia;
•     INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4, co.3° co.decr.lgsl.28/2010;
•     INFORMA le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art.5, co.2° e che ai sensi dell’art.8 dec.lgs. 28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa;
•     FISSA termine fino al quindicesimo giorno dalla scadenza del primo termine indicato supra per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del dec.lgs.28/10;
•     RINVIA all’udienza del 26.6.2014 h.9,30 per quanto di ragione.

Roma lì 4.11.2013     Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi
 
PROPOSTA FORMULATA DAL GIUDICE AI SENSI DELL’ART.185 BIS CPC
Il Giudice,
letti gli atti del procedimento,
ritenutolo opportuno,
considerato che l’avvocato Raffaello, la cui revocata contumacia non rimuove i limiti previsti dalla legge alla promozione di attività istruttorie di parte, esattamente sottintende con le sue difese che non ogni errore professionale in cui sia incorso un avvocato (in questo caso si è in presenza della classica – in quanto non rara- decadenza dai termini per i gravami) nel corso del giudizio, definito in modo sfavorevole al cliente, si tramuta automaticamente in prova del diritto ad un risarcimento del danno a favore del medesimo;
ritenuto tuttavia che lo stesso avvocato non può omettere di rilevare che un caso da lui stesso patrocinato del tutto analogo a quello del cliente Gianfranco, è pervenuto, sia pure con tutte le diversità delle vicende umane e sia pure infine con una transazione (che non si può escludere che sarebbe potuta intervenire anche in questo caso), ad un esito sicuramente non disprezzabile per la parte patrocinata;
ritenuta la notevole difficoltà delle valutazioni rimesse al giudice che deve in questi casi con un’assai difficile indagine prognostica e probabilistica effettuare prove controfattuali dall’esito sempre opinabile; e ritenuta la moltitudine degli elementi da considerare (ad esempio, ponendo occhio anche ai lunghi tempi di definizione delle cause, con i possibili conseguenti mutamenti della giurisprudenza);
dovendosi in ogni caso e proprio per quanto precede, la valutazione essere sempre parametrata più che ad un risultato ad una chanche di risultato; la cui percentuale, rimessa alla prudente valutazione del giudice in questo caso si reputa di fissare, in questa fare di proposta, al 35% delle somme in discussione;
P R O P O N E
il pagamento a favore del cliente Gianfranco ed a carico dell’avvocato Raffaello della somma di €.85.000,00. Pagamento rateizzato nel corso di 24 mesi. Spese compensate.
Il Giudice
L’attore accettava la proposta ed in mancanza di adesione dell’avvocato Raffaello attivava ritualmente la mediazione partecipandovi, a differenza del convenuto che non compariva.
Il mediatore dell’organismo di mediazione compulsato dall’attore dava atto nel verbale del 7.3.2014 che la parte convocata aveva inviato un fax confermando di avere ricevuto la convocazione e che non intendeva partecipare.
5 . La qualificazione in termini di giustificabilità o meno, della mancata partecipazione del convenuto ritualmente convocato al procedimento di mediazione attivato dall’attore su disposizione del giudice ex art.5 co.II° decr.lgsl.28/10 comma (mediazione demandata).
Con ordinanza del 11.11.2013 il giudice disponeva un percorso di mediazione demandata ai sensi del comma secondo dell’art.5 decr.lgs.28/2010 come modificato dal d.l.69/2013
L’avvocato Raffaello non si è presentato all’incontro di mediazione, benché ritualmente convocato dall’attore, e l’esperimento è stato di conseguenza chiuso senza poter entrare nel merito delle diverse posizioni delle parti.
L’art.8 co.IV° bis prima parte del decr. lgsl. 28/2010 relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione prevede che il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.
La norma si applica a differenza della seconda parte dell’art. 8 co.IV° (relativa al contributo unificato) che riguarda solo le parti costituite, a tutte le parti.
La (in)sussistenza di un giustificato motivo per non aderire, non presentandosi, all’incontro di mediazione.
Non avendo l’avvocato Raffaello fornito alcuna motivazione della sua mancata comparizione davanti al mediatore (atteggiamento confermato processualmente dai suoi difensori) devesi affermare l’assenza di un giustificato motivo.
A tutto concedere, solo in un caso (che non è questo) dove fosse di palmare ed eclatante evidenza la infondatezza o in fatto o in diritto o per entrambi i profili, della domanda, si potrebbe ragionevolmente ravvisare una giustificazione della mancata comparizione e non trarne alcuna conseguenza negativa per il soggetto renitente.
In ogni altro caso (vale a dire in ogni situazione di res dubia) la volontaria mancanza di indicazioni motivazionali per la non adesione e comparizione nel procedimento di mediazione (ai sensi dell’art.5 1 bis ovvero co.II° del decr.lgsl.28/10) – come pure l’esposizione di motivazione di stile- equivale ad assenza di un giustificato motivo.
D’altra parte non può essere obliterato che a monte del provvedimento vi è la valutazione del giudice che ha esaminato gli atti, studiato le posizioni delle parti, in questo caso anche formulato una proposta che poteva essere un’utile base di discussione ed infine adottato un provvedimento che, in relazione alle circostanze tutte indicate dal secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/2010, testimonia il maturato convincimento circa l’utilità di un percorso di mediazione nell’ambito del quale le parti avrebbero potuto approfondire le rispettive posizioni fino al raggiungimento di un accordo per entrambe vantaggioso.
Risulta pertanto comprovato che nel caso di specie non solo non sussiste un giustificato motivo per la mancata comparizione della parte convenuta nel procedimento di mediazione; ma che tale rifiuto è del tutto irragionevole, illogico in concreto ma anche dal punto di vista astratto ed inescusabile.
6 . Le conseguenze, sul merito della causa, della mancata comparizione in mediazione dell’avvocato convenuto, senza giustificato motivo.
L’art.116 integra la prova, aliunde emergente, del danno causato dalla condotta negligente del difensore.
La mancata partecipazione al procedimento di mediazione (obbligatoria o demandata), senza alcuna giustificazione fornita dalla parte e senza -come in questo caso- che dagli atti del giudizio appaia la incontrovertibile macroscopica evidenza, per motivi di fatto o di diritto, o di entrambi, della inutilità o della impossibilità di riuscita della mediazione, costituisce condotta grave perché idonea a determinare la introduzione o l’incrostazione di una procedura giudiziale (evitabile) in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi.
Quanto alla possibilità di valorizzare, nel processo, come argomento di prova a sfavore di una parte determinate condotte della stessa (nella specie la mancata comparizione in mediazione, senza giustificato motivo, della parte convocata) si confrontano nella giurisprudenza due diverse opinioni.
Secondo una prima tesi la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull’art. 116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie.
Secondo altra opinione non vi è alcun divieto nella legge affinché il giudice possa fondare solo su tali circostanze la sua decisione, valendo come unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.
È espressione della prima teoria l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “la norma dettata dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre ‘argomenti di prova’, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze” (fra le tante Cassazione civile, sez. trib., 17/01/2002, n. 443).
La norma in questione merita senz’altro una maggiore utilizzazione anche se a differenza di altri casi in cui da una determinata circostanza è consentito ritenere provato tout court il fatto a carico della parte che tale circostanza subisce, in questo caso la legge prevede che il giudice possa utilizzarla per trarre dalle circostanze valorizzate “argomenti di prova”.
La norma dell’art.116 c.p.c. viene richiamata dal legislatore della mediazione (art.8 decr. lgs. cit.) nell’ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di incentivi e deterrenti volti a indurre le parti, con la previsione di vantaggi per chi partecipa alla mediazione e di svantaggi per chi al contrario la rifugge, a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo amichevole che prevenga o ponga fine alle liti [6].
Ciò sul presupposto che le statistiche ufficiali dimostrano incoraggianti percentuali di successo in presenza della comparizione della parte convocata [7].
Le statistiche di alcuni tribunali sono ancora più incoraggianti evidenziando elevate percentuali di successo (intorno al 60%) degli strumenti ADR (proposta del giudice e mediazione) [8].
Ne consegue che, tali essendo le finalità del richiamo dell’art.116 c.p.c nel decr. lgsl. 28/10, equivarrebbe a tradire l’intento del legislatore, svalutare la portata di tale norma considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei mezzi probatori istituiti dall’ ordinamento giuridico.
Va considerato che nell’attuale situazione, affetta da una endemica ed apparentemente insuperabile crisi nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata dalla imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e viste le sempre più gravi conseguenze sociali, economiche e di immagine anche internazionale, derivanti dal ritardo nella definizione dei processi, sia necessario rivalutare, senza forzature ma con fermezza, ciò che è previsto da una norma (l’art.116 cpc) tuttora vigente ma un pò desueta.
È necessario tuttavia fissare delle regole precise al riguardo.
Deve essere ben chiaro in primo luogo che giammai la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto.
A favore o contro la parte non comparsa in mediazione.
Ed infatti lo strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell’ ambito delle prove libere (vale a dire dove si esplica il principio del libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale ) ai fini dell’accertamento del fatto.
L’argomento di prova appartiene all’ampio armamentario degli strumenti utilizzati dal giudice in un ambito in cui non opera la prova diretta, vale a dire quella dove si ha a disposizione un fatto dal quale si può fondare direttamente il convincimento.
Nel processo di inferenza dal fatto al convincimento l’argomento di prova ha la stessa potenzialità probatoria indiretta degli indizi.
E come le presunzioni semplici ha come stella polare il criterio della prudenza (art. 2729 c.c.) che deve illuminarne l’utilizzo da parte del giudice.
Ciò detto si ritiene di poter affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente convocata, come nel caso in esame, davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa.
Con ciò non si intende svalorizzare quella giurisprudenza della Suprema Corte che ha ritenuto che l’effetto previsto dall’art. 116 c.p.c. può – secondo le circostanze – anche costituire unica e sufficiente fonte di prova (Cassazione civile, sez. III, 16/07/2002, n. 10268, che così si esprime: Quanto a questa ultima norma –art. 116 c.p.c. n.d.r.- in particolare, essa attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal comportamento processuale delle parti – e però, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova dei fatti, Cass. 6 luglio 1998 n. 6568; 1 aprile 1995 n. 3822; 5 gennaio 1995 n. 193; 14 settembre 1993 n. 9514; 13 luglio 1991 n. 7800; 25 giugno 1985 n. 3800).
Ritiene infatti il giudice che secondo le circostanze del caso concreto gli argomenti di prova che possono essere desunti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o demandata, pertiene, possano costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero anche unica e sufficiente fonte di prova.
Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo alla mancata partecipazione del difensore convenuto alla mediazione demandata dal giudice, in forza del combinato disposto degli artt. 8 co.IV° bis del decr. lgsl. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra alla valutazione del materiale probatorio raccolto nel senso di ritenere raggiunta la piena prova della infondatezza della resistenza ad oltranza dell’ assicurazione. In tale senso, ed in forza di tale norma, si ritiene di apportare un valore aggiunto probatorio, decisivo e preminente relativamente alla sussistenza di un danno risarcibile ed in ordine alla sua quantificazione, ai già robusti elementi di giudizio di carattere documentale acquisiti.
In base ai documenti prodotti dall’attore risulta quanto segue:
a . anche tal Roberto, agente della … spa collega dell’attore, aveva ricevuto da parte della suddetta società committente l’incarico di supervisore e coordinatore di altri agenti;
b . anche al predetto, come a Gianfranco, tale incarico era stato revocato con effetto immediato;
c . il Roberto come Gianfranco recedeva dal rapporto di agenzia ritenendo tale immotivata revoca ingiusta e lesiva della sua immagine e professionalità promuovendo causa di lavoro contro la …. spa davanti al Pretore di Roma; con il patrocinio dell’avvocato Raffaello;
d . le domande giudiziali di entrambi gli agenti, che avevano esposto situazioni del tutto analoghe, venivano rigettate nel merito in primo grado; e solo quanto al Roberto anche in secondo grado (posto che per l’attore il gravame era invece inammissibile perché tardivo); ed invece accolta, per Roberto dalla Corte di Cassazione che cassava con rinvio (n. 13920 /2001) la sentenza della Corte di Appello. La Corte di Appello di Perugia davanti alla quale era stata riassunto il giudizio accoglieva nel merito (n. 256/06) la domanda di Roberto, dichiarando che la risoluzione del rapporto era stata causata dall’inadempimento (ingiustificata revoca dell’incarico di supervisore) della società che veniva condannata al pagamento delle somme dovute a titolo di indennità sostitutiva di preavviso e di indennità suppletiva di clientela. A seguito ed in conseguenza di tali decisioni (sentenze della Corte di Cassazione e Corte di Appello di Perugia), le parti raggiungevano un accordo.
In base a tali elementi documentali ed al fatto che l’attore non ha contestato in alcun modo i conteggi (vale a dire le somme dal medesimo rivendicate nei confronti della ….. spa) esposti dall’attore (né avrebbe avuto senso farlo posto che era lui stesso, in qualità di difensore di Gianfranco, ad averli esposti e sostenuti come validi davanti al Pretore di Roma) né contestato il pagamento effettuato da Gianfranco alla ….. spa, può ritenersi provato con elevata probabilità, in funzione di chanche non minore del 90%, che se l’appello fosse stato introdotto regolarmente, quand’anche rigettato, l’esito del successivo ricorso in cassazione che l’avvocato Raffaello, così come aveva fatto con successo per Roberto avrebbe coltivato con eguale successo per Gianfranco, avrebbe consentito all’attore di conseguire i beni della vita richiesti (e riconosciuti al collega) e di evitare il danno dell’esborso (necessitato dal precetto speditogli) connesso alla declaratoria del suo inadempimento contenuto nella sentenza pretorile.
7 . Le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione. La sanzione del pagamento a favore dell’erario di una somma pari al contributo unificato.
Non avendo partecipato, ingiustificatamente, l’avvocato Raffaello al procedimento di mediazione al quale era stato convocato lo stesso va condannato al versamento all’Erario della somma di €.660,00 a quanto cioè ammonta il contributo unificato dovuto per il giudizio.
La cancelleria provvederà alla riscossione.
8 . La quantificazione dei danni.
Come già avvertito nella ordinanza contenente la proposta del giudice, la fase processuale dalla quale essa promana consente ed anzi favorisce la possibilità che il giudice, con spirito conciliativo, moduli e costruisca la proposta con visione equitativa.
Occorre infatti dichiarare con chiarezza quella che è la regola d’oro della mediazione demandata e della proposta del giudice.
Tanto più elevate saranno le probabilità di raggiungimento di un accordo fra le parti, in particolare ciò valendo per quella fra di esse onerata con la proposta del giudice di prestazioni da compiere a favore della controparte, quanto più ciascuna di essa possa intravvedere delle utilità, dei vantaggi, dei benefici scaturenti dall’accordo conseguente alla proposta del giudice o alla mediazione, o, che è lo stesso, un contenimento degli svantaggi e delle disutilità che potrebbero derivargli dalla sentenza.
In altre parole, mettere una parte con le spalle al muro, con una proposta che si intraveda di contenuto in tutto e per tutto uguale al contenuto della sentenza seguente al mancato accordo è controproducente.
La parte onerata deve poter contare su un qualche benefit derivante dall’accordo rispetto al contenuto della sentenza, in caso contrario, si porrà l’obiettivo del massimo differimento possibile del redde rationem rappresentato dalla sentenza.
D’altra parte per la parte percipiente, deve valere il correlativo principio che un bene della vita non esattamente uguale a quello sperato ma in compenso conseguibile subito e con certezza a seguito dell’accordo è migliore e più tranquillizzante di un risultato pieno che, in futuro, anche potrebbe mancare in tutto o in parte ( la condanna di una parte non equivale all’adempimento volontario di quella parte; in mancanza di volontario adempimento la parte vittoriosa è onerata di azioni esecutive dall’esito spesso incerto e insoddisfacente; va ricordato che nel nostro ordinamento esiste appello e cassazione etc etc.).
Sul quantum debeatur la fondatezza delle ragioni dell’attore alla luce del punto 7 che precede è indiscutibile.
Il convenuto va pertanto condannato al pagamento della somma di €.110.000 – 10% con interessi legali a fare tempo dal gennaio 2012 data dell’esborso ; €.116.760 – 10% , a titolo di indennità di preavviso e €.13.840 – 10% a titolo di indennità di clientela non percepite.
Null’altro.
Tali somme non sono debiti di valuta derivanti dal rapporto di credito dell’attore nei confronti della ….. spa.
Sono invece la commisurazione in denaro dell’ammontare dei danni causati all’attore dal convenuto e pertanto, in quanto debiti di valore, rivalutabili alla data della sentenza.
Le somme riconosciute in dispositivo sono pertanto la risultanza della rivalutazione degli importi richiesti e dovuti, alla data della decisione: ed invero solo attraverso il meccanismo della rivalutazione monetaria è possibile rendere effettivo il principio secondo cui il patrimonio del creditore danneggiato deve essere ricostituito per intero (quanto meno per equivalente); essendo evidente che, pur nell’ambito del vigente principio nominalistico, altro è un determinato importo di denaro disponibile oggi ed altro è il medesimo importo disponibile in un tempo passato).
Inoltre è giusto riconosciuto un ulteriore danno consistente nel mancato godimento da parte del danneggiato dell’equivalente monetario del bene perduto e la sua liquidazione. Ed invero devesi a tale fine fare applicazione delle presunzioni semplici in virtù delle quali non si può obliterare che ove il danneggiato fosse stato in possesso delle somme predette le avrebbe verosimilmente impiegate secondo i modi e le forme tipiche dell’imprenditore qual’esso è.
Con tali comportamenti oltre a porre il denaro al riparo dalla svalutazione vi sarebbe stato un guadagno (che è invece mancato) che pertanto è giusto e doveroso risarcire, in via equitativa, con la attribuzione degli interessi legali.
Il calcolo di tali interessi viene effettuato in virtù della sentenza del 17.2.1995 n.1712 della Suprema Corte calcolando i relativi interessi legali sugli importi rivalutati per anno ai tassi stabiliti per legge anno per anno, senza alcuna capitalizzazione.
In definitiva quindi all’attore spetta complessivamente la somma di €.216.540,00= oltre interessi legali fino al saldo al cui pagamento il convenuto va condannato.
Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni della l.24.3.2012 n.27 e del D.M. Ministero Giustizia 10.3.2014 n.55) vengono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi del comma ottavo dell’art. 4 del suddetto decreto il compenso da liquidare giudizialmente a carico del soccombente costituito può essere aumentato fino a un terzo rispetto a quello altrimenti liquidabile quando le difese della parte vittoriosa sono risultate manifestamente fondate. E’ esattamente il caso che ci occupa in cui:
a . il convenuto si è (volontariamente) costituito tardivamente, rendendo più difficile la sua difesa ed aggravando ulteriormente la sua già debole posizione sostanziale;
b . le prospettazioni dell’attore, come evincibile anche dal contenuto della proposta del giudice, apparivano e si sono rivelate manifestamente fondate;
c . la irragionevole resistenza ad oltranza del convenuto, vieppiù ribadita dalla mancata adesione al procedimento di mediazione, è spiccata per contrasto con tale evidenza.

La sentenza è per legge esecutiva.-
P.Q.M.
definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
1 . CONDANNA l’avvocato Raffaello al risarcimento dei danni che determina in favore del cliente Gianfranco nella complessiva somma di €.216.540,00= oltre agli interessi legali dalla data della sentenza al saldo;
2 . CONDANNA l’avvocato Raffaello al pagamento delle spese di causa che liquida in favore del cliente Gianfranco in complessivi €.17.330,00 (€.13.000,00 + aumento ut supra) per compensi oltre ad €.500,00 per spese, oltre IVA, CAP e spese generali;
3 . CONDANNA l’avvocato Raffaello al versamento, a titolo di sanzione per la mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione, della somma di €.660,00 pari al contributo unificato dovuto per il giudizio; mandando alla cancelleria, in mancanza di volontario pagamento entro gg.10, per la riscossione coattiva;
4 . SENTENZA esecutiva.-
 
Roma 30.10.2014 Il Giudice dott.Massimo Moriconi

[1] Art.2238: Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave
[2] Ed invero la responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., da commisurare alla natura dell’attività esercitata, fra le tante Cassazione civile , sez. II, 27 marzo 2006, n. 6967
La responsabilità del professionista per i danni causati nell’esercizio della sua attività postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello di diligenza che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell’attività. In particolare, in rapporto alla professione di avvocato, deve considerarsi responsabile verso il cliente il professionista in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui per negligenza ed imperizia, comprometta il buon esito del giudizio, dovendosi invece ritenere esclusa la detta responsabilità, a meno di dolo o colpa grave, solo nel caso di interpretazioni di legge o di risoluzione di questioni opinabili, Cassazione civile, sez. II, 18/11/1996, n. 10068
La disposizione dell’art. 2236 c.c., secondo cui quando la prestazione professionale implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il professionista non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave, deve intendersi nel senso che l’impegno intellettuale richiesto in tali casi sia superiore a quello professionale medio, con conseguente presupposizione di preparazione e dispendio di attività anch’esse superiori alla media; l’onere di dimostrare la sussistenza di quel “quid pluris” che potrebbe comportare una attenuazione della responsabilità incombe in ogni caso sul professionista, così Cassazione civile , sez. II, 23 aprile 2002, n. 5928.

[3] E’ onere del danneggiato fornire al giudice del merito i necessari elementi di prova funzionali a dimostrare, sul piano processuale, tanto l’esistenza quanto l’entità delle conseguenze dannose risarcibili asseritamente subite a seguito del prodursi di un evento di danno connotato dal carattere del contra ius e del non iure, non essendo legittimamente predicabile, in seno al sottosistema civilistico della responsabilità, alcuna fattispecie di danni in re ipsa Cassazione civile, sez. III, 13/12/2012, n. 22890
La perdita di una chance favorevole non costituisce un danno di per sé, ma soltanto — al pari del danno da lucro cessante — se la chance perduta aveva la certezza o l’elevata probabilità di avveramento, da desumersi in base ad elementi certi ed obiettivi Cassazione civile, sez. III, 10/12/2012, n. 22376
La responsabilità dell’avvocato – nella specie per omessa proposizione di impugnazione – non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone Cassazione civile, sez. III, 05/02/2013, n. 2638

[4] Art.91 co.1° seconda parte cpc : se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92
[5] Art.96 III° cpc: in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata
[6] Art.8 co. 4-bis decr.lgsl.28/10 seconda parte: Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio.
[7]
Posto il 57,3% riferito ad aderente non comparso ed il 10,3% a proponente rinunciante prima dell’esito, del restante 32,4% di aderente comparso il 42,4 % costituisce la percentuale di accordi raggiunti (statistiche 1.1.2013-31.12.2013 Ministero Giustizia).
     
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