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La mediazione disposta dal
giudice in corso di causa deve svolgersi in modo effettivo
durante il primo incontro tra le parti e il mediatore, pena
l'improcedibilità sopravvenuta del giudizio. |
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TRIBUNALE DI PALERMO
Sez. I Civile |
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Dott. Michele Ruvolo |
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Il Giudice sciogliendo la riserva
assunta all’udienza del 23.7.2014; |
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OSSERVA |
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Parte attrice ha avanzato domanda
di risarcimento danni (per € 30.000) nei confronti
dell’Università degli Studi di …… lamentando una negligenza
ed un’imperizia professionale di personale sanitario
dell’Università in questione, personale che, nel rimuovere
un catetere venoso precedentemente applicato nella mano
destra, avrebbe compiuto un’errata manovra causando la
rottura dell’agocannula all’interno della vena, con
conseguente necessità di intervento chirurgico di
asportazione del tratto venoso trombizzato.
Costituendosi, l’Università convenuta ha dedotto
l’inesistenza di alcun comportamento colposo del suo
personale sanitario e parasanitario, che si sarebbe
scrupolosamente attenuto, nel praticare la terapia
infusionale oggetto del giudizio, a quella che è la tecnica
generalmente seguita in casi analoghi.
In fase istruttoria è stata disposta CTU. Nell’elaborato
depositato dal consulente d’ufficio si legge che “è da
censurare il mancato riconoscimento della rottura
dell’agocannula, da cui è derivato il realizzarsi di una
tromboflebite che ha costretto l’attrice, dopo circa un
mese, a far rientro presso il pronto soccorso ed essere
sottoposta alla rimozione chirurgica del corpo estraneo.
Sulla base di quanto riferito è evidente la sussistenza del
nesso di causalità materiale tra l’evento dannoso occorso in
occasione del trattamento sanitario presso il Policlinico
universitario di ….. (frammento di catetere venoso
erroneamente lasciato in vena) in data 12.09.1998 e le
lesioni accertate nei giorni seguenti (algia e gonfiore a
causa dell’infiammazione instauratasi)… La condotta del
sanitario che ha rimosso A.V.P.(accertamento venoso
periferico) appare censurabile per non avere appurato la
integrità dell’AVP all’atto della rimozione. Il tempestivo
riconoscimento della rottura del catetere avrebbe infatti
permesso di attivare la procedura di rimozione chirurgica
nell’immediatezza, impedendo di fatto l’oltremodo perdurare
della sintomatologia algico disfunzionale a carico dell’arto
destro sino al 29.10.2008, in occasione del secondo accesso
al Pronto soccorso allorquando venne rimosso chirurgicamente
il corpo estraneo”.
Il CTU ha poi accertato la sussistenza di un’inabilità
temporanea assoluta di giorni 20 e di un’inabilità
temporanea assoluta di altri giorni 20, nonché (in
considerazione di un esito cicatriziale chirurgico in
prossimità del polso destro di circa 3 cm di lunghezza e di
una sintomatologia algica) di un danno biologico del 2%. Ed
a conclusioni sostanzialmente identiche era già arrivato
altro consulente d’ufficio nel giudizio in passato
instaurato dall’attrice per gli stessi fatti nei confronti
di altro ente convenuto e conclusosi con sentenza di questa
Sezione del 27.4.2007 dichiarativa del difetto di
legittimazione passiva di tale convenuto. Orbene, ciò
premesso, si ritiene adesso opportuno formulare alle parti,
ex art. 185 bisc.p.c. e con effetti ex art. 91 c.p.c., la
seguente proposta conciliativa:
art. 1) pagamento ad opera di parte attrice in favore di
parte convenuta della somma di € 7.032,60 (somma calcolata
tenendo conto di quanto accertato dal CTU, dei valori
risultanti dalle tabelle del Tribunale di Milano sulla
liquidazione del danno non patrimoniale, nonché della
rivalutazione monetaria e degli interessi);
art. 2) rinunzia ad opera delle parti a tutte le domande,
eccezioni e difese di cui al presente giudizio;
art. 3) pagamento ad opera di parte convenuta in favore di
parte attrice della somma di € 1.620,43 a titolo di spese di
lite.
L’accettazione della detta proposta conciliativa
comporterebbe per parte attrice il vantaggio di conseguire
integralmente quanto riconosciuto dal CTU (sebbene ciò non
corrisponda a quanto dalla stessa parte attrice richiesto) e
di ottenere il rimborso delle spese di lite fino ad oggi
sostenute e comporterebbe, altresì, per parte convenuta, il
vantaggio di non corrispondere somme ulteriori rispetto a
quelle oggetto dell’accertamento del CTU e di bloccare ad
oggi (escludendo quindi le spese per la fase decisoria del
presente processo e le spese per eventuali gradi successivi
del giudizio) le spese di lite da pagare in favore di parte
attrice. |
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Ciò premesso, |
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rigetta l’istanza di provvisoria
esecuzione del decreto.
Sulle istanze di ammissione dei mezzi istruttori così
provvede: |
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ammette |
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la prova testimoniale proposta
dall’opponente con i testi indicati. Non ammette i capitoli
di prova A.1.10 e A.1.11 in quanto valutativi.
Riservata l’ammissione di CTU medica e di eventuale CTU
contabile econometrica.
Ritenuto peraltro opportuno disporre l’esperimento del
procedimento di mediazione in vista di una possibile
conciliazione della lite che possa eventualmente coinvolgere
anche gli altri condebitori i quali, diversamente dalla
sig.ra … , non hanno proposto opposizione al decreto;
Viste le modifiche introdotte dal D.L. 21 giugno 2013, n.
69, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n.
98 e, in particolare, l’art. 5, co. 2, D. Lgs. 4 marzo 2010
n. 28;
Va quindi fissata apposita udienza al fine di verificare la
posizione delle parti sulla detta proposta conciliativa.
Comunque, in caso di mancata accettazione della proposta in
questione, questo giudice disporrà la mediazioneex officio
iudicis.
Sul punto è bene ricordare che, al di là dei casi di
mediazione obbligatoria ex lege, la legge 98/13 ha pure
stabilito che il giudice può – anche in grado di appello e
valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed
il comportamento delle parti – disporre l’esperimento del
procedimento di mediazione a pena di improcedibilità della
domanda. La legge 98/13 attribuisce quindi al giudice il
potere di imporre alle parti di intraprendere un
procedimento di mediazione nel corso del processo (in
passato, invece, il giudice poteva solo invitarle a svolgere
un tentativo stragiudiziale di mediazione, attendendo
l’eventuale risposta positiva delle parti), in tal modo
creando una nuova condizione di procedibilità (sopravvenuta)
per ordine del giudice. Si tratta di una norma che rimette
al giudice l’effettività di tale canale di accesso alla
mediazione (che opera non quale filtro preventivo alle liti,
ma successivo e non per questo meno utile ed efficace) e può
operare in ogni lite, purché abbia ad oggetto diritti
disponibili;
Peraltro, la mediazione ex officio iudicis può essere
disposta anche per i procedimenti pendenti alla data di
entrata in vigore della legge 98/13 (e ciò in forza del
principio per cui tempus regit actum ed in quanto il nuovo
comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. 28/10 attribuisce un nuovo
potere discrezionale al magistrato che va considerato come
una nuova facoltà processuale e quindi applicabile dal
momento dell’entrata in vigore della norma a tutti i
procedimenti, compresi quelli pendenti) nonché pure per le
materie diverse da quelle assoggettare a mediazione
obbligatoria ex lege in base al comma 1 bis dell’art. 5 del
d.lgs. 28/10 (il che sembra del tutto evidente se si
considera che per le materie di cui al citato comma 1 bis è
già prevista una forma di mediazione obbligatoria ed a nulla
varrebbe la mediazione ex officio iudicis).
Con particolare riferimento ai giudizi pendenti, va poi
osservato che nelle materie già selezionate dal Legislatore
per la mediazione obbligatoria ex lege (come la
responsabilità medico-sanitaria rivendicata nel presente
giudizio) può ritenersi sussistente una “presunzione
semplice” di opportunità, avendo già la normativa formulato
ex ante una prognosi favorevole quanto all’efficacia del
procedimento di mediazione.
A ciò si aggiunga che la mediazione ex officio iudicis può
poi essere disposta anche se una delle parti del processo è
una Amministrazione Pubblica. Nelle fonti normative non si
rinvengono, infatti, disposizioni che escludono le pubbliche
amministrazioni dall’ambito di applicazione della disciplina
introdotta. Pertanto, la normativa in materia di mediazione
in ambito civile e commerciale trova applicazione anche in
riferimento al settore pubblico, come pure si legge nella
circolare del Dipartimento della funzione pubblica n.
9/2012.
È bene adesso svolgere qualche considerazione in relazione
alle conseguenze derivanti dalla mancata attivazione ad
opera delle parti della mediazione prescritta dal giudice.
La soluzione preferibile è quella che ritiene necessaria
l’emissione di una sentenza di improcedibilità della
domanda, restando però da chiarire se tale tipo di decisione
sia da ritenere non adottabile ogniqualvolta venga
instaurato il procedimento di mediazione disposto dal
giudice o se occorra qualcosa di più per ritenere adempiuto
l’ordine giudiziale.
Secondo Trib. Firenze, sez. II civile, 19.3.2014 le
condizioni verificatesi le quali può ritenersi correttamente
eseguito l’ordine del giudice e può quindi considerarsi
formata la condizione di procedibilità sono: 1) che vi sia
stata la presenza personale delle parti; 2) che le parti
abbiano effettuato un tentativo di mediazione vero e proprio
(ed anche per Trib. Firenze, sez. spec. impresa, 17.3.2014
occorre la comparizione personale delle parti).
Nel suo articolato e ben strutturato ragionamento il giudice
fiorentino (ord. 19.3.2014) parte dalla considerazione per
cui l’art. 5 e l’art. 8 del d.lgs. 28/10 sono formulati in
modo ambiguo, posto che nell’art. 8 sembra che il primo
incontro sia destinato solo alle informazioni date dal
mediatore ed a verificare la volontà di iniziare la
mediazione (l’art. 8 prevede, infatti, che “durante il primo
incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le
modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore,
sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i
loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la
procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo
svolgimento”). Tuttavia, nell’art. 5, comma 5 bis, si parla
di “primo incontro concluso senza l’accordo”. Sembra dunque
che il primo incontro non sia una fase estranea alla
mediazione vera e propria. Non avrebbe molto senso, secondo
il Tribunale di Firenze, parlare di ‘mancato accordo’ se il
primo incontro fosse destinato non a ricercare l’accordo tra
le parti rispetto alla lite, ma solo la volontà di iniziare
la mediazione vera e propria. Ciò a prescindere dalle
difficoltà di individuare con precisione scientifica il
confine tra la fase c.d. preliminare e la mediazione vera e
propria (difficoltà ben nota a chi ha pratica della
mediazione), data la non felice formulazione della norma.
Pertanto, il Tribunale di Firenze ha ritenuto necessario, al
fine di spiegare la detta ambiguità interpretativa,
ricostruire la regola avendo presente lo scopo della
disciplina, anche alla luce del contesto europeo in cui si
inserisce (direttiva 2008/52/CE).
Sei sono gli argomenti che hanno portato il Tribunale di
Firenze a ritenere necessaria, per la formazione della
condizione di procedibilità della domanda giudiziale dopo la
mediazione ex officio iudicis, la presenza effettiva delle
parti nel procedimento di mediazione e l’effettivo avvio di
un sostanziale tentativo di mediazione:
1) i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa
legge, hanno sicuramente già conoscenza della natura della
mediazione e delle sue finalità. Se così non fosse non si
vede come potrebbero fornire al cliente l’informazione
prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010, senza
contare che obblighi informativi in tal senso si desumono
già sul piano deontologico (art. 40 codice deontologico ).
Non avrebbe dunque senso imporre l’incontro tra i soli
difensori e il mediatore solo in vista di un’informativa;
2) la natura della mediazione esige che siano presenti di
persona anche le parti: l’istituto mira a riattivare la
comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado
di verificare la possibilità di una soluzione concordata del
conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile
una interazione immediata tra le parti di fronte al
mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli
difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei
conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può
considerarsi mediazione. D’altronde, questa conclusione
emerge anche dall’interpretazione letterale: l’art. 5, comma
1 bis e l’art. 8 prevedono che le parti esperiscano il (o
partecipinoal) procedimento mediativo con l’assistenza degli
avvocati, e questo implica la presenza degli assistiti;
3) ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta
dopo un primo incontro in cui il mediatore si limiti a
chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento
della mediazione vuol dire in realtà ridurre ad
un’inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice,
quello del mediatore e quello dei difensori. Non avrebbe
ragion d’essere una dilazione del processo civile per un
adempimento burocratico del genere. La dilazione si
giustifica solo quando una mediazione sia effettivamente
svolta e vi sia stata un’effettiva chancedi raggiungimento
dell’accordo alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una
vera e propria sessione di mediazione. Altrimenti, si
porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso alla
giurisdizione;
4) l’informazione sulle finalità della mediazione e le
modalità di svolgimento ben possono in realtà essere
rapidamente assicurate in altro modo: 1. Dall’informativa
che i difensori hanno l’obbligo di fornire ex art. 4 cit.,
come si è detto; 2. dalla possibilità di sessioni
informative presso luoghi adeguati (v. direttiva europea) e,
per quanto concerne il Tribunale di Firenze, presso l’URP
(v. articolo 11 del protocollo Progetto Nausica 2) e da
ultimo, sempre nell’ambito di tale Progetto, presso
l’ufficio di orientamento gestito dal Laboratorio
Unaltromododell’Università di Firenze;
5) l’ipotesi che la condizione si verifichi con il solo
incontro tra gli avvocati e il mediatore per le informazioni
appare particolarmente irrazionale nella mediazione disposta
dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il
giudice abbia già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del
conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice
di valutare ”la natura della causa, lo stato dell’istruzione
e il comportamento delle parti”), e che tale valutazione si
sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo
presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da
parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo,
lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione
del documento informativo, deve a sua volta informare la
parte della facoltà di chiedere la mediazione. Come si vede,
dunque, sono previsti plurimi livelli informativi e non è
pensabile che il processo venga momentaneamente interrotto
per un’ulteriore informazione anziché per un serio tentativo
di risolvere il conflitto;
6) l’art. 5 della direttiva europea 2008/52/CE distingue le
ipotesi in cui il giudice invia le parti in mediazione
rispetto all’invito (sempre da parte del giudice) per una
semplice sessione informativa: un ulteriore motivo per
ritenere che nella mediazione disposta dal giudice viene
chiesto alle parti (e ai difensori) di esperire la
mediazione e cioè l’attività svolta dal terzo imparziale
finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di
un accordo amichevole (secondo la definizione data dall’art.
1 del d.lgs. n. 28/2010) e non di acquisire una mera
informazione e di rendere al mediatore una dichiarazione
sulla volontà o meno di iniziare la procedura mediativa.
Alla luce delle considerazioni che precedono il giudice
fiorentino ha considerato quale criterio fondamentale la
ragion d’essere della mediazione, che ruota attorno
all’esigenza di tentare realmente di pervenire ad una
soluzione non giudiziale della controversia, ed ha affermato
la necessità che le parti compaiano personalmente (assistite
dai propri difensori come previsto dall’art. 8 d.lgs. n.
28/2010) e che la mediazione sia effettivamente avviata.
Un’altra strada interpretativa è quella seguita (allo stato)
dal Tribunale di Milano (strada, però, inaugurata prima
della presa di posizione di Firenze): la condizione di
procedibilità è soddisfatta anche quanto sia tenuto solo il
primo incontro di mediazione senza accordo(l’incontro di cui
all’art. 8 comma I d.lgs. 28/2010). Le differenze non sono
di scarsa rilevanza. Nel primo incontro il mediatore
chiarisce alle parti la funzione e le modalità di
svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello
stesso primo incontro, invita poi le parti ed i loro
avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la
procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo
svolgimento. Si tratta, dunque, secondo il Tribunale di
Milano, dell’incontro dedicato alla cd. valutazione di
mediabilità e, cioè, dell’anticamera del procedimento
mediativo.
Secondo il primo indirizzo illustrato (Tribunale di
Firenze), per soddisfare la condizione di procedibilità
questo primo incontro non basta: occorre dare effettivamente
inizio alla procedura. Per il secondo indirizzo segnalato
(Tribunale di Milano) questa prima relazione al tavolo di
mediazione è già sufficiente.
La lettura che conferisce maggiore razionalità all’istituto
è certamente quella fiorentina e ciò almeno per quanto
riguarda l’effettivo tentativo di mediazione, considerato
che è invece difficile sostenere che le parti debbano essere
personalmente presenti, essendo loro diritto conferire
eventualmente una procura di carattere sostanziale ad un
altro soggetto (che può pure essere l’avvocato difensore).
Sussiste, però, un nodo interpretativo da risolvere. Il
Legislatore ha espressamente regolato il regime giuridico
sotteso alla condizione di procedibilità e previsto,
all’art. 5 comma 2 bis, che «quando l’esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale la condizione si considera avverata
se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza
l’accordo». La disposizione, dunque, sembra richiamare
espressamente “il primo incontro” di cui all’art. 8 comma I
cit.
Il giudice non potrebbe quindi esigere, al fine di ritenere
correttamente formata la condizione di procedibilità, che le
mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro.
Tuttavia, egli può comunque richiedere che in questo primo
incontro il tentativo di mediazione sia stato effettivo.
Certo, è vero che può sembrare che in questo primo incontro
il mediatore potrebbe non avere neppure la possibilità di
tentare un accordo se le parti non vogliono che ciò accada.
Infatti, secondo quanto previsto dall’art. 8 del nuovo
d.lgs. 28/10, “durante il primo incontro il mediatore
chiarisce alle parti la funzione e le modalità di
svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello
stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati
a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di
mediazione e, nel caso positivo, procede con lo
svolgimento”.
Una prima lettura delle disposizioni normative pare
giustificare un’interpretazione per cui se le parti e i loro
avvocati non vogliono effettuare un vero tentativo di
conciliazione (magari per non pagare il compenso
all’organismo di mediazione) ben possono esprimere in questa
prima parte del primo incontro, di natura preliminare, la
loro volontà contraria all’inizio di una mediazione e il
tutto finisce lì. La disposizione normativa in questione,
così interpretata, sarebbe molto discutibile in quanto
rischierebbe di rendere la mediazione di fatto facoltativa.
Il mediatore potrebbe pure pensare, alla luce di tale
disposizione normativa, di non potere neppure tentare di
verificare se effettivamente le posizioni delle parti sono
inconciliabili. Se, infatti, in quest’ultimo caso si può
parlare di un fallimento della mediazione, nel caso
teoricamente consentito dal legislatore di manifestazione
(anche ad opera di una sola delle parti) della sua volontà
contraria alla mediazione vi sarebbe un aborto legale della
mediazione. Peraltro, se si ritiene che ogni parte può
impedire fin dall’inizio l’effettivo svolgimento del
procedimento di mediazione, ognuno dei partecipanti sarebbe
titolare di un diritto potestativo alla chiusura del
procedimento e gli altri sarebbero tutti in una posizione di
soggezione. Ed è da credere che tale diritto potestativo
verrebbe spesso esercitato se si considera che, come
accennato, è stato aggiunto il comma 5 ter dell’art. 17 del
d.lgs. 28/10, secondo cui nel caso di mancato accordo
all’esito del primo incontro nessun compenso è dovuto per
l’organismo di mediazione.
Tuttavia, una corretta interpretazione (in linea con la
ratio della direttiva europea – ed è noto che gli operatori
nazionali sono tenuti, secondo la Corte di giustizia UE, a
tentare un’interpretazione delle disposizioni nazionali
conforme alle norme europee – che mira ad agevolare il più
possibile la soluzione delle controversie in modo
alternativo a quello giudiziario) è quella che ritiene che
il mediatore, nell’invitare le parti e i loro procuratori a
esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di
mediazione, deve verificare se vi siano i presupposti per
poter procedere nell’effettivo svolgimento della mediazione
(il cui procedimento comunque già inizia con il deposito
dell’istanza di mediazione). Tali presupposti sono, ad
esempio, l’esistenza di una delibera che autorizza
l’amministratore di condominio a stare in mediazione (così
come previsto dalla legge 220/12) o l’esistenza di
un’autorizzazione del giudice tutelare se a partecipare alla
mediazione deve anche essere un minore ovvero la presenza di
tutti i litisconsorti necessari. Il mediatore non dovrebbe
chiedere, come invece ritenuto da molti, se le parti
vogliono andare avanti. Egli non deve verificare la
“volontà” delle parti e dei procuratori, ma li invita ad
esprimersi sulla “possibilità”di iniziare la procedura di
mediazione. E nel punto in cui la norma dice che “nel caso
positivo, procede con lo svolgimento” essa non va intesa nel
senso che se gli avvocati dicono che c’è tale possibilità si
va avanti, mentre se dicono che non sussiste questa
possibilità non si procede oltre. È il mediatore che, tenuto
conto di quello che dicono le parti e gli avvocati, valuta
se sussiste questa possibilità (nella norma, infatti, non si
legge “nel caso di risposta positiva”, ma “nel caso
positivo”). Si comprende, quindi, il motivo per cui il comma
5 ter dell’art. 17 del d.lgs. 28/10 contempla (come il comma
2 bis dell’art. 5) la possibilità di un accordo tra le parti
in sede di primo incontro (prevedendo che in caso di mancato
incontro non è dovuto compenso all’organismo). |
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In conclusione, in caso di mancata
accettazione della proposta conciliativa formulata dal
giudice, verrà disposta la mediazione ex officio iudicis
quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale,
condizione che si riterrà formata soltanto se nel primo
incontro il tentativo di mediazione sarà effettuato dalle
parti in modo effettivo. |
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Né rileva che la mediazione sia già
stata tentata in via preventiva, in forza del d.lgs. 28/2010
nella versione antecedente la declaratoria di illegittimità
costituzionale da parte della Consulta, in quanto parte
convenuta non si è presentata in quella procedura (mentre
dovrà presentarsi nella futura, eventuale mediazione ex
officio iudicis) e poiché, dopo l’espletamento della CTU, vi
sono ora maggiori possibilità di addivenire ad una soluzione
transattiva basata sulle risultanze dell’accertamento
peritale. |
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P.Q.M. |
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formula alle parti la proposta
conciliativa indicata in parte motiva;
fissa per la verifica della posizione delle parti sulla
detta proposta conciliativa l’udienza del giorno 29.9.2014,
ore 12.00, riservandosi di disporre nell’indicata udienza,
in caso di mancata accettazione della proposta conciliativa,
l’esperimento del procedimento di mediazione ex officio
iudicis quale condizione di procedibilità della domanda
giudiziale, che si riterrà formata soltanto se nel primo
incontro il tentativo di mediazione sia stato effettuato
dalle parti in modo effettivo.
Si comunichi. |
Palermo, 16.7.2014
Il Giudice
Dott. Michele Ruvolo |
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