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Il mediatore deve
verbalizzare quale parte non esprime la volontà di
proseguire oltre il primo incontro informativo |
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TRIBUNALE DI ROMA
Sez. XIII Civile |
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Il Giudice
Dott. Cons. Massimo Moriconi |
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Nel giudizio di opposizione a
decreto ingiuntivo
promosso da X
Comune di Roma Capitale
attore-opponente
contro
YY
convenuta-opposta |
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SENTENZA |
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ABSTRACT |
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1. I fatti rilevanti
2. L’ordinanza del 15.12.2014 e l’invio in mediazione
demandata
3. La (in)sussistenza di un giustificato motivo per non
aderire, non presentandosi, all’incontro di mediazione, da
parte dell’ente convenuto e della sua assicurazione
4. Le conseguenze previste dall’art.8 del decr.lgsl.28/10
per la mancata partecipazione del soggetto ritualmente
convocato al procedimento di mediazione attivato dalle
attrici su disposizione del giudice ex art.5 co.II° comma
5. Le conseguenze, sul merito della causa, della mancata
partecipazione di Roma Capitale senza giustificato motivo,
al procedimento di mediazione demandata dal giudice:
l’art.116 cpc
6. Le risultanze probatorie
7. La responsabilità di Roma Capitale e dell’appaltatore XXX
.srl
8. Le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata
ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione
previste dal decr.lgsl.28/2010 – La sanzione del pagamento a
favore dell’erario di una somma pari al contributo unificato
9. Le conseguenze ulteriori per la inottemperanza alla
disposizione del giudice ex art.5 co.II° – La responsabilità
aggravata di cui all’art.96 III° comma cpc Presupposti e
ragioni della sua applicabilità alla mediazione – A) L’art.8
comma quarto bis del decr.lgsl.28/10 non esaurisce gli
strumenti sanzionatori posti a presidio dell’effettivo
svolgimento della mediazione – B) Le condotte dei soggetti
coinvolti nel procedimento di mediazione sono sussumibili
nell’area di applicazione dell’art.96 cpc – C) L’art.96 cpc
in combinato disposto con l’art. 3 Cost. in funzione
riequilibratrice del sistema sanzionatorio apprestato per
l’effettivo svolgimento della mediazione
10. Il contenuto dell’art. 96 III° – Il dolo o la colpa
grave – L‘inottemperanza, ingiustificata, delle parti
all’ordine del giudice ex art. 5 comma II° decr.lgsl.28/10,
di attivare e di partecipare alla mediazione, costituisce
grave inadempienza, dalla quale può discendere
l’applicazione della sanzione di cui al terzo comma
dell’art.96 cpc.
11. La quantificazione della somma al cui pagamento va
condannata Roma Capitale ai sensi dell’art.96 co.III° cpc
12. Il danno erariale – Trasmissione degli atti alla Procura
Generale della Corte dei Conti
13. Le spese processuali. |
La motivazione che segue è stata
redatta ai sensi dell’art.16-bis, comma 9-octies (aggiunto
dall’art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, D.L. 27 giugno
2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6
agosto 2015, n. 132) decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012,
n. 221 secondo cui gli atti di parte e i provvedimenti del
giudice depositati con modalita’ telematiche sono redatti in
maniera sintetica. |
Poiché già la novella di cui alla
l.. 18 giugno 2009, n. 69 era intervenuta sugli artt.132 cpc
e 118 att.cpc , prevedendo che la sentenza va motivata con
una concisa e succinta esposizione delle ragioni di fatto e
di diritto della decisione, occorre attribuire al nuovo
intervento un qualche significato sostanziale, che tale non
sarebbe se si ritenesse che l’innovazione ultima sia
puramente ripetitiva – mero sinonimo- del concetto già
precedentemente espresso. |
La necessità di smaltimento dei
ruoli esorbitanti e le prescrizioni di legge e regolamentari
(cfr. Strasburgo 2) circa la necessità di contenere la
durata della cause, impongono pertanto applicazione di uno
stile motivazionale sintetico che è stile più stringente di
previgente alla disposizione dell’art. 19, comma 1, lett. a,
n. 2-ter, d.l.83/2015 |
letti gli atti e le istanze delle
parti, |
osserva: |
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1 I fatti rilevanti |
L’incidente è accaduto in data
11.2.2009 |
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Secondo quanto riferito dalle
attrici G.M. mentre era alla guida, sotto la pioggia, del
motociclo di proprietà di P.T., a velocità moderata, al
centro della intersezione regolata da semaforo con luce
verde fra Viale Africa e via dell’Arte perdeva il controllo
della moto e cadeva a terra riportando lesioni alla persona
e danni alla moto a causa di una buca di circa 6,00 m X 1,80
m ricoperta di acqua piovana, invisibile, apertasi proprio
al centro della carreggiata da diversi giorni e segnalata al
Comune di Roma proprio per la sua pericolosità
Erano casualmente presenti agenti della Polizia Municipale
che assistevano al fatto e redigevano rapporto, nonché
chiamando la ditta appaltatrice dei lavori (per conto del
Comune) che provvedeva a riempire la buca con tredici
sacchetti di catrame (come leggesi nel rapporto dei vigili).
L’attrice produceva fatture di ogni spesa medica sostenuta
per la cura delle lesioni.
Chiedeva, ai sensi degli artt.20151 e 2043 cc, la somma di
€.15.000 circa a titolo di risarcimento dei danni alla
persona, €.2.700,00 spese mediche e fisioterapiche e di
€.1.579,00 per quelli alla moto (come da fattura e
preventivo)
Il Comune di Roma si costituiva e contestava sia nell’an che
nel quantum le domande avverse, rilevando in particolare che
buca era di vaste dimensioni e quindi visibile, ben
conosciuta e che alle 9,15 di mattina vi era buona
visibilità.
Chiamava in causa la ditta alla quale era stata appaltata la
sorveglianza e la manutenzione della strada in questione.
La XXX srl contestava ogni sua responsabilità pur non
negando di avere l’obbligo di manutenzione di quel tratto di
strada e chiamava in causa l’assicurazione spa F..
Interveniva volontariamente l’Assicurazione del Comune di
Roma.
Il giudice, disposta ed acquisita consulenza medica,
disponeva, con ordinanza del 15.12.2014, la mediazione
demandata, per il caso che sulla proposta, che
contestualmente formulava ex art.185 bis, le parti non
avessero raggiunto un accordo. |
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2 L’ordinanza del
15.12.2014 e l’invio in mediazione demandata |
Con l’ordinanza del 15.12.2014 il
giudice proponeva:
il pagamento a favore di G.M. della complessiva somma di
€.4.000,00 di cui €.2000,00 a carico di Assicurazioni ….(per
Roma Capitale) ed €.2000,00 a carico di srl XXX ; nonché
della somma di €.600,00 a favore di P.T. nella stessa
proporzione. Oltre al pagamento, a carico delle stesse
parti, di un contributo alle spese di causa a favore delle
attrici per l’importo di €.1.300,00 oltre IVA CAP e spese
generali; nonché spese di consulenza tecnica di ufficio
In particolare, e fra l’altro, l’ordinanza così motivava
sulla proposta:
considerato che nel caso in esame la caduta dalla moto,
entrata in una buca allagata, è stata constatata
nell’immediato da organi di Polizia presenti in loco;
ritenuto altresì che la velocità urbana deve essere
particolarmente moderata da parte dei conducenti di
ciclomotori e motocicli in una città come quella di Roma
notoriamente affetta da un endemico problema di dissesto del
manto viario, e che il mantenimento di un condotta di guida
prudente accorto e consapevole può ridurre o eliminare del
tutto il pericolo di cadute ed incidenti causati da tale
problema;
considerato che, nello specifico, gravava sulla conducente
del motociclo l’obbligo di guidare con somma attenzione
poste le condizioni meteorologiche avverse, la pioggia
abbondante ed il conseguente stato delle strade, bagnate e
sdrucciolevoli; tutti fattori particolarmente significativi
per un veicolo a dure ruote;
considerato che la diffusa e notoria presenza di buche e
simili non dispensa né esonera da responsabilità l’ente
proprietario;
considerato che la giurisprudenza della S.C. non esclude,
condivisibilmente, la possibilità di concorso di colpa anche
per quanto riguarda i danni derivanti da “insidia” stradale;
viste le tabelle per il risarcimento del danno biologico in
uso presso il tribunale di Roma;
Con la stessa ordinanza il giudice disponeva un percorso di
mediazione demandata ai sensi del comma secondo dell’art.5
decr.lgs.28/2010 come modificato dal d.l.69/2013, che veniva
regolarmente avviato dall’attrice.
Nella suddetta ordinanza, il giudice così motivava:
a ) trattandosi di soggetto pubblico (ente locale
territoriale), si ricorda che, laddove ciò dovesse essere
utile per pervenire ad un accordo conciliativo, non vi sono
ostacoli a che il funzionario delegato possa gestire la
procedura e, nell’ambito dei poteri attribuitigli,
concludere un accordo. Ricorrendone i presupposti, anche
osservando le indicazioni contenute nelle linee guida in
materia di mediazione nelle controversie civili e
commerciali per l’attuazione dei procedimenti di mediazione
di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante
“Attuazione dell’art. 60 della Legge 18 giugno 2009, n.69 in
materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali” circolare DFP 33633
10/08/2012 9/2012 per le amministrazioni pubbliche di cui
all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Vale altresì
sottolineare che l’eventuale deprecata scelta di una
condotta agnostica, immotivatamente anodina e
deresponsabilizzata dell’amministrazione pubblica (massime
non presentandosi in mediazione senza ragione alcuna)
potrebbe esporla a responsabilità per danno erariale sotto
il profilo delle conseguenze del mancato accordo su una
proposta del giudice o mediatoria comparativamente valutata
rispetto al contenuto della sentenza. Conseguenze che, in
relazione alle circostanze del caso concreto, sarebbe
doveroso segnalare agli organi competenti;
b) la proposta del giudice che segue è permeata da un
contenuto di equità e che oltre a ciò l’esito dell’ulteriore
corso della causa, laddove mancasse l’accordo, non consente
a ciascuna delle parti di considerare definitivamente
stabilizzati, nel bene e nel male, i suoi contenuti;
c) ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5
decr.lgsl.28/’10 come modificato dal D.L.69/’13 è richiesta
alle parti l’effettiva partecipazione al procedimento di
mediazione demandata e che la mancata partecipazione senza
giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata
dal giudice oltre a poter attingere, secondo taluna
interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità
della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel
merito della causa.
Nessun soggetto si è presentato per il Comune di Roma e per
… Assicurazioni …. benché ritualmente convocate
dall’attrici, nel procedimento di mediazione.
Per la XXX era presente un procuratore speciale (dott. …così
si legge nel verbale del mediatore) in virtù di procura
speciale, anche quale sostituto dell’avv. S.M. (così nel
verbale)
Per la spa altra Assicurazione era presente solo un
procuratore speciale, NON assistito da alcun avvocato Il
procuratore speciale dichiarava di accettare la proposta del
giudice.
In ragione delle assenze e senza potersi entrare nel merito
delle diverse posizioni delle parti, il mediatore dichiarava
chiuso il procedimento di mediazione.
-3- La (in)sussistenza di un giustificato motivo per non
aderire, non presentandosi, all’incontro di mediazione da
parte dell’ente convenuto e della sua assicurazione
Con PEC del 10.6.2015 il difensore di Roma Capitale inviava
all’organismo di mediazione un messaggio nel quale
preannunciava l’assenza in mediazione essendo intenzione
dell’Ente di coltivare l’azione di garanzia nei confronti
della ditta appaltatrice dei lavori di manutenzione della
strada, sottolineando che una definizione bonaria che
vedesse Roma Capitale riconoscere somme alle parti attrici
impedirebbe l’accoglimento della domanda di garanzia.
Di analogo tenore la missiva del 29.4.2015 delle
Assicurazioni …..
Devesi affermare l’assoluta insussistenza di un giustificato
motivo per la non partecipazione al procedimento di
mediazione, e la inconsistenza delle suddette
giustificazioni, per le seguenti ragioni:
I°
E’ viziato da manifesta miopia logico-giuridica il tentativo
di giustificare il rifiuto alla partecipazione alla
mediazione, affermando e ribadendo, come fa l’ente
territoriale ( e la sua assicurazione), la ragione del
Comune appaltante ed il torto della ditta appaltatrice (XXX
srl), e ciò in quanto
addurre la pretesa ragione contro l’altrui torto per non
aderire alla mediazione è un’aporia: se questa fosse infatti
una valida ragione per non partecipare al procedimento di
mediazione, la mediazione non potrebbe esistere tout court,
e comunque mai procedere, posto che alla base della sua
ragione d’essere vi è, immancabilmente, la divergenza di
vedute fra le parti in conflitto, divergenza che è
precisamente alla base e causa del conflitto stesso;
il nuovo testo dell’art.8 del decr.lgsl.28/10 prevede che al
primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine
della procedura, le parti devono partecipare con
l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il
mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di
svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello
stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati
a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di
mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.
La norma è stata, condivisibilmente, interpretata dalla
giurisprudenza nel senso che solo in presenza di ragioni
formali dirimenti (più precisamente di questioni
pregiudiziali che ne impediscano la procedibilità) sia
ammissibile fermarsi alla fase introduttiva del primo
incontro senza procedere oltre. In questo contesto, è ben
arduo ravvisare un caso in cui possa sussistere un
giustificato motivo che autorizzi l’assenza tout court
davanti al mediatore della parte convocata, e ciò per la
semplice ragione che qualunque addetto ai lavori ben sa
quanto ogni questione, di merito o di rito, sia opinabile e
passibile di diversa interpretazione da parte delle corti;
con la conseguenza che pressoché ogni conflitto – ove
sussista lealtà e non intenti dilatori – è mediabile
nella fattispecie, il Comune di Roma e la sua Assicurazione
avrebbero ben potuto partecipare al procedimento di
mediazione che conteneva più di un rapporto giuridico:il
primo riguardante la domanda dell’attrice contro Roma
Capitale in ordine alla quale l’ente territoriale avrebbe
potuto addivenire ad un accordo con la danneggiata senza
alcun pregiudizio della sua eventuale rivalsa facendo
espressamente salvo ed impregiudicato ogni suo diritto nei
confronti della società appaltatrice (ove fra questa ed il
Comune non fosse stato raggiunto un accordo in mediazione).
Il secondo, Comune- XXX srl) in ordine al quale non è stata
neppure allegata dall’Ente territoriale e dalla sua
Assicurazione alcuna ragionevole motivazione – al di là
dell’apodittica e tautologia pretesa di aver ragione a
trecentosessanta gradi – per la quale un qualche conveniente
accordo non avrebbe potuto emergere all’esito del confronto
e dialogo fra le parti con l’ausilio del mediatore.
II°
Non può essere obliterato che a monte del provvedimento di
invio in mediazione vi è la valutazione del giudice che ha
esaminato gli atti, studiato le posizioni delle parti, ed
infine adottato un provvedimento che, in relazione alle
circostanze tutte indicate dal secondo comma dell’art.5
decr.lgsl.28/2010, testimonia il convincimento maturato dal
magistrato circa l’utilità di un percorso di mediazione
nell’ambito del quale le parti avrebbero potuto approfondire
e discutere liberamente le rispettive posizioni fino al
raggiungimento di un accordo per entrambe vantaggioso.
III °
Vale ricordare che la partecipazione al procedimento di
mediazione demandata è obbligatoria per legge e che proprio
in considerazione di ciò NON è giustificabile una negativa e
generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non
partecipazione al procedimento di mediazione. Neppure ove
tale condotta muova dal timore di incorrere in danno
erariale a seguito della conciliazione. Va infatti
considerato che in tale timore è insita un’aporia. A
prescindere che esiste la possibilità di un autorevole e
rassicurante ausilio nel percorso conciliativo in mediazione
, sta di fatto che la legge, nel disciplinare la mediazione,
sia dal punto di vista attivo che passivo, non fa alcuna
eccezione per quanto riguarda l’ente pubblico.
Un pregiudizio in tale senso pertanto costituisce una
controsenso.
Occorre forse supporre che se una P.A. deve introdurre una
causa in una delle materie di cui all’art. 5 co. 1 bis del
decr.lgsl.20/2010, promuove necessariamente – dovendo
scontare altrimenti l’improcedibilità – il procedimento di
mediazione, ma lo fa con la riserva mentale di non
accordarsi mai !?
Si tratterebbe, se così fosse, di un paradossale non
pòssumus nonché di un pessimo esempio da parte
dell’amministrazione pubblica di deliberata e pregiudiziale
disapplicazione di una legge dello Stato.
Del tutto contraria alle apprezzabili finalità della legge.
Che è quella del raggiungimento di accordi conciliativi,
senza alcuna eccezione soggettiva.
Le P.A. pertanto hanno, in subiecta materia, gli stessi
oneri ed obblighi di qualsiasi altro soggetto.
Fermo restando che è opportuno procedimentalizzare la loro
condotta al riguardo.
Il che sta a significare che è opportuno che il soggetto
incaricato di rappresentare la PA in mediazione previamente
concordi con chi ha il potere dispositivo del diritto un
chiaro e determinato perimetro all’interno del quale il
funzionario delegato possa serenamente condurre le
trattative.
Risulta pertanto comprovato che nel caso di specie non solo
non sussiste un giustificato motivo per la mancata
comparizione del Comune di Roma e della sua Assicurazione
nel procedimento di mediazione; ma che tale rifiuto è
irragionevole, illogico e contrario allo spirito ed alla
lettera della legge.
-4- Le conseguenze previste dall’art.8 del decr.lgsl.28/10
per la mancata partecipazione del soggetto ritualmente
convocato al procedimento di mediazione attivato dall’attore
su disposizione del giudice ex art.5 co.II° comma
L’art.8 co.IV° bis prima parte del decr. lgsl. 28/2010
relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato
motivo al procedimento di mediazione prevede che il giudice
può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai
sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di
procedura civile.
La norma si applica a differenza della seconda parte
dell’art. 8 co.IV° (relativa al contributo unificato) che
riguarda solo le parti costituite, a tutte le parti.
-5- Le conseguenze, sul merito della causa, della mancata
comparizione del Comune di Roma , senza giustificato motivo,
l’art.116
La mancata partecipazione, senza una valida giustificazione,
al procedimento di mediazione (obbligatoria o demandata),
costituisce condotta di per sé grave perché idonea a
determinare la introduzione ovvero, se già pendente,
l’incrostazione ed il prolungamento di una controversia in
un contesto giudiziario, quello italiano, già ampiamente
saturo nei numeri e troppo dilatato nella durata.
Quanto alla possibilità di valorizzare, nel processo, come
argomento di prova a sfavore di una parte, la mancata
comparizione in mediazione, senza giustificato motivo, della
parte convocata, si confrontano nella giurisprudenza due
diverse opinioni.
Secondo una prima tesi la decisione del giudice non può
essere fondata esclusivamente sull’art. 116 c.p.c., cioè su
circostanze alle quali la legge non assegna il valore di
piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione
integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie.
Secondo altra opinione non vi è alcun divieto nella legge
affinché il giudice possa fondare solo su tali circostanze
la sua decisione, valendo come unico limite quello di una
coerenza e logica motivazionale in relazione al caso
concreto.
È espressione della prima teoria l’insegnamento della
giurisprudenza di legittimità secondo cui la norma dettata
dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a
desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti
nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto
ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e,
in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo,
non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra
eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta
negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento
della parte il giudice possa trarre ‘argomenti di prova’, e
non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque
adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre
risultanze (fra le tante Cassazione civile, sez. trib.,
17/01/2002, n. 443).
La norma in questione merita senz’altro una maggiore
utilizzazione anche se a differenza di altri casi in cui da
una determinata circostanza è consentito ritenere provato
tout court il fatto a carico della parte che tale
circostanza subisce, in questo caso la legge prevede che il
giudice possa utilizzarla per trarre dalle circostanze
valorizzate “argomenti di prova”.
La norma dell’art.116 c.p.c. viene richiamata dal
legislatore della mediazione (art.8 decr. lgs. cit.)
nell’ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di
incentivi e deterrenti volti a indurre le parti, con la
previsione di vantaggi per chi partecipa alla mediazione e
di svantaggi per chi al contrario la rifugge, a comparire in
sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo
amichevole che prevenga o ponga fine alle liti
Ciò sul presupposto che le statistiche ufficiali dimostrano
sempre più alte percentuali di accordi in presenza della
comparizione della parte convocata.
Ne consegue, tali essendo le finalità del richiamo
dell’art.116 c.p.c nel decr. lgsl. 28/10, che equivarrebbe a
tradire la ratio della norma, svalutarne la portata,
considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel
corredo dei mezzi probatori previsti dall’ ordinamento
giuridico.
Va considerato che nell’attuale situazione, affetta da una
endemica lunghezza nei tempi di risposta alla domanda di
giustizia, causata principalmente dalla imponente mole di
cause iscritte nei tribunali e delle corti; e viste le
sempre più gravi e negative conseguenze sociali, economiche
e di immagine anche internazionale del Paese, derivanti dal
ritardo nella definizione dei processi, sia necessario
rivalutare quanto previsto dall’art.116 cpc
È necessario tuttavia fissare delle regole precise al
riguardo.
Deve essere ben chiaro in primo luogo che la mancata
comparizione in sede di mediazione potrà costituire
argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica,
che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di
diritto.
A favore o contro la parte non comparsa in mediazione.
Ed infatti lo strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene
ai mezzi che il giudice valuta, nell’ambito delle prove
libere (vale a dire dove si esplica il principio del libero
convincimento del giudice precluso in presenza di prova
legale ) ai fini dell’accertamento del fatto.
L’argomento di prova appartiene all’ampio armamentario degli
strumenti utilizzati dal giudice in un ambito in cui non
opera la prova diretta, vale a dire quella dove si ha a
disposizione un fatto dal quale si può fondare direttamente
il convincimento.
Nel processo di inferenza dal fatto al convincimento
l’argomento di prova ha la stessa potenzialità probatoria
indiretta degli indizi.
E come le presunzioni semplici ha come stella polare il
criterio della prudenza (art. 2729 c.c.) che deve
illuminarne l’utilizzo da parte del giudice.
Va ricordata quella giurisprudenza della Suprema Corte che
ha ritenuto che l’effetto previsto dall’art. 116 c.p.c. può
– secondo le circostanze – anche costituire unica e
sufficiente fonte di prova (Cassazione civile, sez. III,
16/07/2002, n. 10268, che così si esprime: Quanto a questa
ultima norma –art. 116 c.p.c. n.d.r.- in particolare, essa
attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento
di prova dal comportamento processuale delle parti – e però,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non
significa solo che il comportamento processuale della parte
può orientare la valutazione del risultato di altri
procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo
somministrare la prova dei fatti, Cass. 6 luglio 1998 n.
6568; 1 aprile 1995 n. 3822; 5 gennaio 1995 n. 193; 14
settembre 1993 n. 9514; 13 luglio 1991 n. 7800; 25 giugno
1985 n. 3800).
Tuttavia il giudice opina che almeno di regola e secondo le
circostanze sia preferibile ritenere che gli argomenti di
prova che possono essere desunti dalla ingiustificata
mancata comparizione della parte chiamata in mediazione
abbiano lo scopo e l’utilità di integrare gli elementi di
giudizio già presenti.
Alla luce di quanto precede, si ritiene che la ritenuta
assenza di giustificati motivi per la mancata partecipazione
dell’ente territoriale alla mediazione demandata dal
giudice, in forza del combinato disposto degli artt. 8
co.IV° bis del decr. lgsl. 28/2010 e art. 116 c.p.c.,
concorra alla valutazione del materiale probatorio già
acquisito, nel senso di ritenere raggiunta la prova – per
quanto e nei limiti infra illustrati – della fondatezza
degli argomenti delle attrici.
-6- Le risultanze probatorie ed il risarcimento dei danni
Già nell’ordinanza del 15.12.2014 il giudice aveva
puntualizzato la fondamentale circostanza che nel caso in
esame la caduta dalla moto, entrata in una buca allagata, è
stata constatata nell’immediato da organi di Polizia
presenti in loco.
E non solo.
Gli stessi verbalizzanti davano atto che per riempire la
buca la ditta sopravvenuta doveva impiegare una grande
quantità di materiale, ciò a dimostrazione della grandezza e
pericolosità della buca.
Ricoperta dall’acqua e quindi NON visibile se non quando la
moto vi entrava dentro.
Va ricordato che per la sussistenza della situazione
definita tradizionalmente “insidia” fonte di danno si
richiede la non riconoscibilità e la non prevedibilità della
situazione pericolosa, quale fonte di danno, da parte di una
persona di ordinaria diligenza; oltre ovviamente la non
conoscenza in concreto.
Occorre poi applicare tale concetto adeguandolo alla
situazione specifica dei luoghi, nonché soggettiva della
persona che assume di aver subito un danno dall’insidia.
In questo caso non vi è dubbio sulla sussistenza di un
pericolo non facilmente evitabile, in considerazione che la
pioggia in atto aveva ricoperto la buca, rendendola non
visibile.
Che la buca fosse stata segnalata come affermato
genericamente dalla difesa dell’attrice non è stato
dimostrato (chi, come e quando avrebbe effettuato la
segnalazione ?).
Si reputa che si tratti di una mera affermazione difensiva
da parte dell’avvocato delle attrici per dare maggiore
evidenza alla responsabilità dei convenuti.
E d”altra parte è impensabile che una buca di tali enormi
dimensioni potesse essersi formata all’istante. Sicché, che
fosse stata già segnalata (non certo dalle attrici che non
lo hanno mai affermato, cfr. dichiarazione della M. alla
Polizia Municipale) è possibile.
Ma ciò rende ancor più manifesta la inadempienza del Comune
e della ditta appaltatrice.
L’evento dannoso è accaduto in data 11.2.2009 quando G. M.
aveva 26 anni.
E’ importante indicare la data del fatto in quanto dal marzo
2001 (l.5.3.2001 n.57) è in vigore il sistema del punto
legale al quale il giudice in virtù della legge 12.12.2002
n.273 e successive puo’ derogare in aumento, per le
micropermanenti, solo nella misura di un quinto.
Ne consegue che per quanto riguarda il danno biologico
permanente da 1 a 9 punti ed il danno biologico temporaneo
vanno applicate le norme suindicate e le relative tabelle
applicative (derivanti dai decreti ministeriali).
Per quanto invece concerne:
il danno biologico (temporaneo e permanente) relativo ad
aree diverse da quella dei danni derivanti da sinistri
conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei
natanti (precisamente come in questo caso) ed
il danno biologico permanente derivante da sinistri
conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei
natanti per il quale i postumi delle lesioni sono superiori
al nove per cento,
il sistema seguito per la valutazione del danno biologico
muove dal valore di punto che rappresenta il criterio più
ampiamente diffuso nell’ambito del Tribunale di Roma.
Invero l’applicazione delle tabelle di punto ha il vantaggio
di attenuare la possibilità di trattamenti diversi per
situazioni analoghe (come pure quello di consentire alle
parti di addivenire più agevolmente a soluzioni transattive
extragiudiziali).
Senza che ciò escluda la doverosità da parte del giudice
(correlativa alla legittima aspettativa della parte) di
personalizzare, ove necessario, l’ammontare degli importi
riconosciuti al fine di rendere effettivo e completo il
ristoro.
Nelle esplicative delle tabelle romane è condivisibilmente
previsto fra l’altro….Per la valutazione equitativa nel caso
di effettiva prova (ivi compresa la presunzione nell’ambito
del diritto civile) del danno secondo i parametri della
sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n.
26792/2008 (il ristoro di tale danno, infatti, compete a)
quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile
come reato potendo in questo caso essere oggetto di
risarcimento qualsiasi danno non patrimoniale scaturente
dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato
dall’ordinamento, indipendentemente da una sua rilevanza
costituzionale; b) quando sia la legge stessa a prevedere
espressamente il ristoro del danno limitatamente si soli
interessi della persona che il legislatore ha inteso
tutelare attraverso la norma attributiva del diritto; c)
quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti
inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela
costituzionale e non predeterminati dovendo, volta a volta
essere allegati dalla parte e valutati caso per caso dal
giudice (cfr ad es. Cass. sez. III, 25 settembre 2009 n.
20684), si ritiene necessario prendere in considerazione,
per il concreto esercizio del relativo potere, un criterio
che utilizzi, al fine di individuazione della somma adeguata
a quanto provato, un importo percentuale di quanto liquidato
a titolo di danno biologico in misura ordinariamente non
eccedente il 60%, tenuto conto che nelle tabelle del danno
biologico elaborate dal Tribunale non era compresa alcuna
quota relativa al cd danno non patrimoniale soggettivo.
Premesso che il fatto in sé costituisce reato di lesioni
colpose, non v’ha dubbio che debba essere riconosciuto
all’attrice (a prescindere dall’esistenza o meno di querela)
la voce di danno non patrimoniale relativa alla sofferenza
ed al patimento che ne sono derivati (descrittivamente danno
morale) con applicazione, per la quantificazione, dei
criteri, scaglioni e range elaborati a tale proposito dal
tribunale capitolino.
Esaminata e condivisa la relazione peritale d’ufficio, ben
motivata ed immune da errori o vizi
logico-tecnico-giuridici, ed in assenza di specifiche e
valide contestazioni, va evidenziato che l’attrice ha subito
a seguito dell’evento i seguenti danni:
invalidità permanente 2 %
invalidità temporanea 100% di gg.15
invalidità temporanea 50% di gg.10
spese medico-sanitarie per la persona e danni alla moto
Ai fini della quantificazione della componente di danno
morale e del danno alla moto si valorizza (oltre per la moto
per il quale è stata prodotta fattura e preventivo), la
circostanza della mancata ed ingiustificata adesione al
procedimento di mediazione da parte di Roma Capitale e della
sua Assicurazione, ex art. 8 decr.lgsl 28/2010 e art. 116
cpc
Le somme riconosciute sono la risultanza della rivalutazione
alla data della decisione (secondo le tabelle aggiornate):
ed invero solo attraverso il meccanismo della rivalutazione
monetaria è possibile rendere effettivo il principio secondo
cui il patrimonio del creditore danneggiato deve essere
ricostituito per intero (quanto meno per equivalente);
essendo evidente che, pur nell’ambito del vigente principio
nominalistico, altro è un determinato importo di denaro
disponibile oggi ed altro è il medesimo importo disponibile
in un tempo passato).
Comprendono altresì il danno consistente nel mancato
godimento da parte della danneggiata dell’equivalente
monetario del bene perduto per tutto il tempo decorrente fra
il fatto e la sua liquidazione. Ed invero devesi a tale fine
fare applicazione delle presunzioni semplici in virtù delle
quali non si può obliterare che ove il danneggiato fosse
stato in possesso delle somme predette le avrebbe
verosimilmente impiegate secondo i modi e le forme tipiche
del piccolo risparmiatore in parte investendole nelle forme
d’uso di tale categoria economica (ad esempio in azioni ed
obbligazioni, in fondi, in titoli di Stato o di altro
genere) ricavandone i relativi guadagni. Con tali
comportamenti oltre a porre il denaro al riparo dalla
svalutazione vi sarebbe stato un guadagno (che è invece
mancato) che pertanto è giusto e doveroso risarcire, in via
equitativa, con la attribuzione degli interessi legali.
Il calcolo di tali interessi viene effettuato in virtù della
sentenza del 17.2.1995 n.1712 della Suprema Corte procedendo
prima alla devalutazione alla data del fatto dannoso degli
importi che erano stati rivalutati alla data della sentenza;
e successivamente calcolando sugli importi rivalutati anno
per anno i relativi interessi legali ai tassi stabiliti per
legge anno per anno, senza alcuna capitalizzazione.
In definitiva a G.M. spetta complessivamente la somma di
€.7.200,00 e a P.T. la somma di €.1.800,00 , oltre interessi
legali fino al saldo.
-7- La responsabilità di Roma Capitale e dell’appaltatore
XXX srl
Il Comune di Roma è responsabile nei confronti delle attrici
in quanto l’aver affidato in appalto a terzo soggetto la
manutenzione delle sue strade non è fatto che, da solo,
possa escluderne la concorrente responsabilità. La società
XXX srl è sicuramente responsabile nei confronti del Comune
di Roma per non aver assolto adeguatamente alle obbligazioni
derivanti dal contratto relativo all’appalto di manutenzione
delle strade in corso, in particolare per la mancata
sorveglianza
Non è infatti accettabile che una ditta incaricata della
manutenzione (ma anche della vigilanza come si legge nel
contratto in atti) di un quadrante relativamente limitato
della città non vigili regolarmente e con metodo,
percorrendo in lungo e largo le strade sottoposte a sua
vigilanza controllandone lo stato ed intervenendo dove
necessario, ma si limiti ad attendere -come manifesta la
vicenda in esame (grandissima buca sicuramente preesistente
da tempo), che a seguito di un incidente sia chiamata, per
effettuare la riparazione di quella buca (il che sta a
significare che occorre un incidente per provvedere a quella
manutenzione che deve invece essere il più possibile
preventiva)
Va ricordato che in tema di appalto e’ di regola
l’appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed
eventualmente anche dell’inosservanza della legge penale
durante l’esecuzione del contratto, attesa l’autonomia con
cui egli svolge la sua attivita’ nell’esecuzione dell’opera
o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari,
curandone le modalita’ ed obbligandosi a fornire alla
controparte l’opera o il servizio cui si era obbligato,
mentre il controllo e la sorveglianza del committente si
limitano all’accertamento e alla verifica della
corrispondenza dell’opera o del servizio affidato
all’appaltatore con quanto costituisce l’oggetto del
contratto. In tale contesto, pertanto, una responsabilita’
del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile
solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato
commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine
impartitogli dal direttore dei lavori o da altro
rappresentante del committente stesso – tanto che
l’appaltatore finisca per agire quale nudus minister privo
dell’autonomia che normalmente gli compete – o allorquando
risultino presenti gli estremi della culpa in eligendo, il
che si verifica se il compimento dell’opera o del servizio
sono stati affidati ad un’impresa appaltatrice priva della
capacita’ e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la
prestazione oggetto del contratto senza che si determinino
situazioni di pericolo per i terzi (così fra le tante
Cassazione civile sez. lav., 23 marzo 1999, n. 2745)
Con tali premesse non è dubbio che del fatto debba
rispondere oltre che l’appaltatore, nei confronti del Comune
di Roma che ha esercitato azione di garanzia dei suoi
confronti, lo stesso Comune, responsabile ex art.2043 cc,
per i danni causati all’attrice.
Ed invero non vi è stata alcuna dimostrazione da parte del
Comune di Roma che l’impresa avesse le caratteristiche di
serietà e di affidabilità, oltre che di robustezza economica
e finanziaria idonea a svolgere le prestazioni
commissionategli, tali da ritenere assolto l’obbligo di
diligenza nella scelta dell’appaltatore. Si tratta di
verifica fondamentale in quanto che, diversamente opinando,
sarebbe fin troppo facile per un committente, e nella specie
per il Comune di Roma, al fine del discarico di ogni
responsabilità, appaltare a terzi del tutto inadeguati, suoi
compiti e oneri, sfuggendo agli obblighi derivanti dalla
violazione del principio del neminem laedere.
Né è pensabile che la prova (della idoneità dell’appalto)
debba fare carico al danneggiato, che non ne avrebbe alcuna
concreta possibilità a differenza del Comune appaltante
(applicazione del principio della prossimità della prova che
onera la parte che è, in base alle circostanze del caso, più
in grado di offrirla).
La XXX srl deve indennizzare Roma Capitale dell’importo
dovuto dall’ente locale per il risarcimento alla parte
danneggiata. Non le spese di causa (dovute alle attrici) che
derivano da condotta processuali di Roma Capitale
(inadeguata) la cui scelta di resistere in giudizio ad
oltranza, articolando una difesa non fondata e non
partecipando alla mediazione, comporta anche le relative
conseguenze.
La spa altra assicurazione è tenuta alla relativa manleva
-8 – Le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata
ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione
previste dal decr.lgsl.28/2010 – La sanzione del pagamento a
favore dell’erario di una somma pari al contributo
unificato.
Non avendo partecipato, ingiustificatamente, Roma Capitale e
spa Le Assicurazioni ……al procedimento di mediazione al
quale erano state convocate le stesse vanno condannate al
versamento all’Erario di una somma corrispondente al
contributo unificato dovuto per il giudizio.
La cancelleria provvederà alla riscossione.
-9- Le conseguenze ulteriori per la inottemperanza alla
disposizione del giudice ex art.5 co.II° – La responsabilità
aggravata di cui all’art.96 III° comma cpc Presupposti e
ragioni della sua applicabilità alla mediazione – A) L’art.8
comma quarto bis del decr.lgsl.28/10 non esaurisce gli
strumenti sanzionatori posti a presidio dell’effettivo
svolgimento della mediazione – B) Le condotte dei soggetti
coinvolti nel procedimento di mediazione sono sussumibili
nell’area di applicazione dell’art.96 cpc – C) L’art.96 cpc
in combinato disposto con l’art. 3 Cost. in funzione
riequilibratrice del sistema sanzionatorio apprestato per
l’effettivo svolgimento della mediazione
Occorre rispondere ad alcuni interrogativi attinenti
al dubbio che l’art.8 comma quarto bis del decr.lgsl.28/10
possa esaurire, delimitandoli in modo non estensibile, gli
strumenti legali latu sensu sanzionatori posti a presidio
dell’effettivo svolgimento della mediazione;
alla pertinenza o meno delle condotte dei soggetti coinvolti
nel procedimento di mediazione a quelle sussumibili
nell’area di interesse dell’art.96 cpc
alla sussistenza della colpa grave
Ed ancora, chiedersi se il sistema latu sensu sanzionatorio
apprestato dal decr.lgsl 28/2010 a presidio dell’effettivo
svolgimento della mediazione sia conforme all’art.3 della
Costituzione.
Quanto al primo interrogativo va osservato:
contro il rischio della mancata ingiustificata
partecipazione al procedimento di mediazione l’art.8 comma
quarto bis del decr.lgsl.28/10 predispone specifici
deterrenti e precisamente la possibilità dell’utilizzo
dell’art.116 cpc da parte del giudice e la condanna al
pagamento di una somma pari al contributo unificato dovuto
per il giudizio.
Alla domanda se possa essere applicata anche la sanzione di
cui all’art.96 cpc non espressamente menzionata dall’art.8
decr.lgsl.cit, si deve dare risposta univocamente
affermativa.
Che si impone, non potendo valere a pena di grave vulnus al
sistema processuale, il brocardo ubi lex voluit dixit ubi
noluit tacuit
Invero, l’art. 96 cpc è norma aperta, cioé di generale
applicazione e non può neppure concettuamente essere
ipotizzata, pena una grave aporia, un’interpretazione che
condizioni il suo perimetro applicativo all’esistenza di una
espressa previsione per singoli casi.
Ciò trova conferma nello stesso decr.lgsl.28/10 che
all’art.13, all’atto di prevedere una specifica disciplina
delle spese di causa in materia di proposta del mediatore
irragionevolmente non accettata, fa comunque salva
l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di
procedura civile
Piuttosto quindi, è giocoforza affermare che sono gli
strumenti previsti dall’art.8 del decr.lgsl.28/10 ad
aggiungersi, in virtù di una specifica previsione di legge,
alle norme di generale applicazione (qual’è l’art.96 cpc)
per le quali non è necessario uno specifico richiamo.
Quanto al secondo interrogativo va osservato:
La possibilità di applicare l’art.96 cpc, nel caso di
ingiustificata partecipazione della parte convocata al
procedimento di mediazione deriva dai seguenti e convergenti
parametri logico-sistematici:
nel caso dell’art.5 II° decr.lgsl.28/2010 (diversamente
dalla mediazione obbligatoria) il giudice ha effettuato una
valutazione di mediabilità concreta e specifica (relativa
all’an, al momento in cui disporla, ed alle circostanze
oggettive e soggettive che hanno evidenziato l’utilità del
tentativo di conciliazione): il disvalore del rifiuto di
partecipare all’incontro è quindi, all’evidenza, ben più
elevato rispetto al caso della mediazione obbligatoria;
l’applicazione della misura sanzionatoria (dell’art.96 III°)
non è una conseguenza automatica della mancata
partecipazione, ma di una valutazione specifica e
complessiva della condotta del soggetto renitente con
riferimento, fra l’altro ma non solo, all’assenza di
giustificati motivi per non partecipare ed al grado di
probabilità del raggiungimento di un accordo in caso di
partecipazione (fattore quest’ultimo che, in questo caso il
giudice aveva ben evidenziato nell’ordinanza di invio);
cosicché tanto più alte ed evidenti si appalesano tali
possibilità tanto più grave e meritevole di sanzione (art.96
cpc) si connota l’ingiustificato rifiuto;
il collegamento, già insito nell’essere la mediazione
condizione di procedibilità, fra procedimento giudiziario
(causa) e procedimento esterno (mediazione) è strettissimo e
sincronico nella mediazione demandata. Nella quale si
radicano più che altrove, molteplici punti di contatto e di
interferenza con la causa (le indicazioni offerte alle parti
ed al mediatore da parte del giudice nell’ordinanza di invio
in mediazione demandata; la proposta del mediatore – che il
giudice può propiziare nell’ordinanza- con i suoi possibili
riflessi nella causa in caso di mancato accordo; la
consulenza in mediazione con gli effetti della producibilità
ed utilizzabilità nella causa in caso di mancato accordo,
alla stregua dei requisiti, con i limiti e per gli effetti
indicati dalla giurisprudenza );
la doverosità della partecipazione delle parti al
procedimento di mediazione, se è predicata in modo diretto
dalla legge per quanto riguarda la parte onerata dalla
condizione di procedibilità, e solo indiretto, come si
argomenta dal contenuto dell’art. 8 co.4 bis
decr.lgsl.28/10, per quanto riguarda il convenuto, acquista
ben più pregnante spessore e cogenza, quanto a quest’ultimo,
a seguito della mediazione demandata riformata, nella quale
l’ordine (e non come nel testo previgente un mero invito),
del giudice si rivolge direttamente a tutte le parti,
nessuna esclusa, rendendo manifesta ed esplicita la
doverosità della partecipazione al procedimento di
mediazione. In entrambi i casi la circostanza che siano
state previste delle sanzioni per la mancata partecipazione
attesta formalmente ciò che è ovvio sostanzialmente, vale a
dire che l’attivazione della procedura di mediazione non
afferisce solo ad un onere, in quanto a seguito dell’istanza
nascono obblighi – sanzionati- di partecipazione a carico di
tutte le parti in conflitto (istante e chiamato)
Emerge con evidenza da quanto precede che con l’applicazione
dell’art.96 co. III° viene sanzionata la condotta del
soggetto renitente prima di tutto processuale, cioé interna
ed appartenente alla causa, dove tale espressione afferisce
alla scelta del soggetto di non tenere nella giusta
considerazione l’ordine impartitogli dal giudice,
opponendogli un ingiustificato rifiuto.
Ne consegue che l’applicazione dell’art.96 co.III° cpc alla
fattispecie della mancata partecipazione al procedimento di
mediazione demandata non è solo questione ed interesse
dell’istituto della mediazione, al cui presidio soccorrono
(anche) norme interne alla legge che la disciplina (art. 8
decr.lgsl.28/2010), ma ben di più e prima, di disciplina del
processo e di condotta processuale, che si qualifica
scorretta e sanzionabile proprio nella misura in cui senza
valida ragione viene disatteso un ordine legalmente dato dal
giudice.
Art. 96 cpc, mediazione ed art. 3 della Costituzione
L’applicazione dell’art. 96 III° può avere inoltre, nel
contesto di cui si discute, la funzione di un salutare e
necessario riequilibrio del sistema sanzionatorio della
mediazione, altrimenti palesemente sbilenco. E, in
definitiva, consentire una interpretazione
costituzionalmente orientata (dall’art.3 Cost), delle norme
che la disciplinano.
Come è noto, l’attivazione del procedimento di mediazione è
stata dal legislatore prevista quale condizione di
procedibilità (art.5 decr.lgsl.28/2010) delle domande
giudiziali nelle materie di cui all’art.1 bis decr.lgsl.
cit. (mediazione obbligatoria), come pure, dal 2013 ed a
prescindere dalla materia, nel caso di mediazione demandata
dal giudice.
Qual’è la ragione d’essere di tale condizione di
procedibilità e quale l’obiettivo del legislatore ?
La risposta al primo interrogativo è molto agevole.
Una riforma epocale destinata ad incidere profondamente ed
in modo definitivo su una antica cultura giuridica formata
ed avvezza pressoché esclusivamente all’aspra gestione della
contesa giudiziale, con l’innesto di una massiccia dose di
cultura conciliativa, non può produrre i suoi effetti, da un
giorno all’altro, solo con un invito del legislatore.
Occorrono forti incentivi e deterrenti per le prevedibili
naturali resistenze al Nuovo, anche quando sicuramente, come
in questo caso, un Nuovo molto positivo, perché diretto a
rivitalizzare la giurisdizione valorizzandola negli ambiti
dove è davvero necessaria. Senza la pretesa, che sarebbe
errata e velleitaria, di sostituirla tout court, ma
affiancandole un valore aggiunto che consiste nella
possibilità per le parti, in moltissimi casi, nell’area dei
diritti disponibili, di pervenire con l’aiuto di un
mediatore professionale e imparziale, all’accordo.
Prevenendo o ponendo fine ad una lite.
Una cultura quindi della pacificazione sociale, piuttosto
della esasperazione del conflitto giudiziario immanente ed
ubiquo.
Anche per l’individuazione dell’obiettivo, la risposta è
agevole.
Si può ipotizzare che il legislatore si volesse accontentare
del semplice dato formale dell’ avvenuta presentazione
dell’istanza di mediazione da parte del soggetto onerato ?
Si può ipotizzare che per il legislatore fosse del tutto
indifferente che l’istante si presentasse effettivamente
davanti al mediatore per esperire la mediazione ? E che
potesse essere sufficiente, per le esigenze perseguite con
questa riforma, un ruolo del mediatore puramente notarile,
di attestazione dell’avvenuta presentazione della domanda ?
E’ del tutto evidente, al contrario, che il legislatore ha
perseguito un obiettivo sostanziale, vale a dire che le
parti in conflitto esperissero concretamente la mediazione,
vale a dire si incontrassero personalmente e tentassero,
discutendo con la presenza attiva e fattiva del mediatore,
di accordarsi.
A questo serve la condizione di procedibilità. Per questo è
stata prevista per la parte onerata una sanzione assai
pesante, vale a dire l’improcedibilità della domanda con
conseguente condanna alle spese, per il caso di non
attivazione del procedimento di mediazione, obbligatoria e
demandata.
Se così stanno le cose e così precisamente stanno, non v’è
chi non veda come il raggiungimento di tale obiettivo si
scontra con la irragionevole sproporzione, al ribasso, della
sanzione prevista a carico del soggetto convocato renitente.
Quest’ultimo, per quanto ingiustificata sia la sua assenza,
subisce l’applicazione (certa) di una sanzione pari al
contributo unificato, all’evidenza di scarsa o nulla
deterrenza (essendo una somma fissa, del tutto imbelle per
soggetti possidenti, come enti, assicurazioni, banche e per
stare al caso in esame ad un ente territoriale), e
l’eventuale utilizzo da parte del giudice dell’art. 116 cpc
le cui limitate potenzialità sono state supra ampiamente
descritte e che, peraltro, nel caso in cui la soccombenza
sia stata per altro verso già attinta, è del tutto fuori
luogo ed inutile.
Quindi in moltissimi casi e nella sostanza, non vi è (nella
legge 28) a carico del convocato che non voglia
pregiudizialmente partecipare al procedimento di mediazione
nessuna sanzione.
Tale sbilanciamento non è poca cosa, per l’ovvia
considerazione che l’accordo non si fa con una parte sola,
sicché in definitiva a serve l’esistenza ( nella legge 28)
di un forte spinta a mediare – la sanzione di
improcedibilità della domanda – a carico di uno solo dei
contendenti.
Da quanto segue risulta chiaramente dimostrata la
sostanziale equità costituzionale (ed invero non si vede per
quale ragione logica, e con quale giustizia, l’importanza
della partecipazione all’incontro di mediazione, predicata
con limpida chiarezza dal legislatore, dovrebbe essere
adeguatamente presidiata solo nei confronti di una sola
delle parti in conflitto e non dell’altra) dell’utilizzo
dell’art.96 III° cpc (anche) in funzione riequilibratrice
delle posizioni delle parti rispetto ai mezzi legali
applicabili per rendere effettiva la loro partecipazione
all’esperimento di mediazione.
-10- Il contenuto dell’art. 96 III° Il dolo o la colpa grave
– L‘inottemperanza, ingiustificata, della parte all’ordine
del giudice ex art. 5 comma II° decr.lgsl.28/10, di
partecipare alla mediazione, costituisce grave inadempienza,
dalla quale può discendere l’applicazione della sanzione di
cui al terzo comma dell’art.96 cpc.
L’art. 96 dispone che:
I° se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito
in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su
istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese,
al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio,
nella sentenza.
II° Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui
è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta
domanda giudiziaria, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure
iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della
parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni
l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la
normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma
del comma precedente.
E per quel che qui interessa:
III° In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi
dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì
condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della
controparte, di una somma equitativamente determinata
La norma del terzo comma introdotta dalla l.18.6.2009 n.69
ed entrata in vigore dal 4.7.2009 ha cambiato completamente
il quadro previgente con alcune importanti novità:
in primo luogo non è più necessario allegare e dimostrare
l’esistenza di un danno che abbia tutti i connotati
giuridici per essere ammesso a risarcimento essendo
semplicemente previsto che il giudice condanna la parte
soccombente al pagamento di un somma di denaro ;
non si tratta di un risarcimento ma di un indennizzo (se si
pensa alla parte a cui favore viene concesso) e di una
punizione (per aver appesantito inutilmente il corso della
giustizia, se si ha riguardo allo Stato), di cui viene
gravata la parte che ha agito con imprudenza, colpa o dolo;
l’ammontare della somma è lasciata alla discrezionalità del
giudice che ha come unico parametro di legge l’equità per il
che non si potrà che avere riguardo, da parte del giudice, a
tutte le circostanze del caso per determinare in modo
adeguato la somma attribuita alla parte vittoriosa;
a differenza delle ipotesi classiche (primo e secondo comma)
il giudice provvede ad applicare quella che si presenta né
più né meno che come una sanzione d’ufficio a carico della
parte soccombente e non (necessariamente) su richiesta di
parte;
infine, la possibilità di attivazione della norma non è
necessariamente correlata alla sussistenza delle fattispecie
del primo e secondo comma.
Come rivela in modo inequivoco la locuzione in ogni caso la
condanna di cui al terzo comma può essere emessa sia nelle
situazioni di cui ai primi due commi dell’art. 96 e sia in
ogni altro caso. E quindi in tutti i casi in cui tale
condanna, anche al di fuori dei primi due commi, appaia
ragionevole.
Benché non sia richiesto espressamente dalla norma, si
ritiene dalla giurisprudenza necessario anche il requisito
della gravità della colpa.
A ben vedere nel caso che ci occupa, non di colpa (sia pure
grave) trattasi, ma di dolo, in quanto la parte convocata si
è volontariamente e consapevolmente sottratta all’ obbligo,
derivante dall’ordine impartito dal giudice, di presentarsi
e partecipare alla mediazione, di cui era perfettamente a
conoscenza (come dimostra la pur errata e fuorviante
giustificazione riferita).
La giurisprudenza richiede la sussistenza del dolo o della
colpa grave poiché non è ragionevole che possa essere
sanzionata la semplice soccombenza, che è un fatto
fisiologico alla contesa giudiziale, ed è necessario che
esista qualcosa di più rispetto ad essa, tale che la
condotta soggettiva risulti caratterizzata, come in questo
caso, da ostinata resistenza all’ordine del giudice e da una
pervicace volontà di protrarre la lite quale che ne siano le
conseguenze.
La sussistenza di tali requisiti potrà essere riscontrata
ricavandola da qualsiasi indicatore sintomatico.
Nel caso in esame, in presenza di chiare e comprovate
circostanze (indicate dal giudice nell’ordinanza di invio in
mediazione) che imponevano a tutta evidenza di dismettere
una posizione processuale di ostinata pregiudiziale e
pervicace resistenza, la condotta della P.A. convenuta che
ha scelto deliberatamente quanto ingiustificatamente di non
aderire alla mediazione demandata dal giudice, integra
certamente dolo o colpa grave.
Deve affermarsi che il volontario ed ingiustificato rifiuto
di aderire ad un ordine del giudice civile, legittimamente
dato, va sempre considerato grave ed infatti l’ordinamento
prevede rimedi, sanzioni e deterrenti di variegata natura e
contenuto, a carico della parte (e talvolta anche del terzo)
renitente.
Per il convergente e necessario fine che l’ordine non
rimanga telum imbelle sine ictu e venga in tal modo, in
maggiore o minore misura, intralciato e sabotato il buon
governo della causa da parte del giudice.
Ed infatti se gli ordini del giudice, quando previsti e
impartiti, potessero essere impunemente rimanere vani e
inascoltati, il sistema processuale verrebbe gravemente
depotenziato con forti e irreparabili ricadute sulla sua
efficienza e, di conseguenza, gli stessi fondamenti sociali
della civile convivenza verrebbero messi a repentaglio.
In realtà lo iussum del giudice trova sempre un adeguato
presidio nell’ordinamento.
Di ciò può essere data ampia prova e di esempi se ne possono
fare in gran numero.
Fermo restando che lo stesso sistema della esecuzione
forzata non è altro che lo strumento per rendere coattivo e
imperativo lo iussum esecutivo giudiziale, le sanzioni
possono essere dirette e prevedere la condanna della parte
(e talvolta anche di un terzo) al pagamento di somme di
danaro così come previsto a carico di chi si sottrae
volontariamente al provvedimento che dispone l’assunzione
della testimonianza e di chi si rifiuta di adempiere
all’obbligo di un fare (o non fare) infungibile (art.614 bis
cpc)..
Come pure consistere in sanzioni penali come nel caso
dell’art.388 del codice penale..
Ovvero, possono essere indirette, nei casi in cui le
conseguenze dell’inottemperanza vanno ad attingere,
negativamente, il merito, come nel caso della mancata
risposta all’interrogatorio formale, dell’art.116 cpc,
dell’art. 118 cpc, etc.
In altri casi ancora dall’inottemperanza possono scaturire
misure coercitive (è il caso dell’ordine di esibizione ex
art. 210 cpc al quale, ove inadempiuto, può seguire il
sequestro di cui all’art. 670 cpc)
Ciò per dire e concludere che l’inottemperanza,
ingiustificata, delle parti (di regola quella convocata,
posto che per l’istante sussiste adeguata sanzione ed
infatti all’ordine della demandata segue nella quasi
totalità dei casi l’introduzione del procedimento di
mediazione), all’ordine del giudice ex art. 5 comma II°
decr.lgsl.28/10, non solo di introdurre, ma di partecipare
effettivamente alla mediazione, costituisce sempre grave
inadempienza, dalla quale ben può discendere, secondo le
circostanze del caso, l’applicazione della sanzione di cui
al terzo comma dell’art.96 cpc.
-11- La quantificazione della somma al cui pagamento la
convenuta va condannata ai sensi dell’art.96 co.III° cpc
L’ammontare della somma deve essere rapportato :
Allo stato soggettivo del responsabile, perché il dolo e la
cosciente volontarietà della condotta censurabile ex art. 96
co.III° è più grave della colpa. In questo caso vi è stata
una volontaria condotta del Comune di Roma, che
disattendendo il motivato e ragionevole invito del giudice
di cercare di trovare un conveniente accordo tenendo conto
di quanto argomentato nell’ordinanza, ha preferito portare
la causa alle estreme conseguenze, aggravando inutilmente il
lavoro del giudice, piuttosto che ragionare e discutere
responsabilmente in sede conciliativa, con un sicuro
risparmio anche per le casse dell’ente territoriale.
Alla qualifica ed alle caratteristiche del responsabile,
persona fisica o giuridica che sia, ed alla sua maggiore o
minore capacità anche in termini organizzativi, di
preparazione professionale, culturale, tecnica, di assumere
condotte consapevoli (si tratta di un parametro che riguarda
la scusabilità, ove esistente, in misura maggiore o minore,
della condotta censurata). In questo caso la condotta
dell’Ente territoriale non è scusabile per le ragioni dette.
Alla rilevanza delle conseguenze della condotta censurata.
Ed a quanto ciò abbia inciso sulla parte vittoriosa sia dal
punto di vista oggettivo che da quello soggettivo per lo
stress aggiuntivo connesso all’incertezza dell’esito della
lite ed al protrarsi dell’attesa del conseguimento del bene
della vita atteso. Una conciliazione, facilmente
conseguibile, visti i presupposti, avrebbe evitato tali
ultime conseguenze che possono ritenersi verosimilmente
verificate a carico delle attrici.
Alla forza ed al potere economico del responsabile, che
secondo le circostanze può risultare avere abusato con la
sua azione o la sua resistenza, del giudizio, dei suoi tempi
e del modo di gestirlo. All’evidenza per un ente di grandi
dimensioni, qual’è Roma Capitale l’eventualità della
condanna alle (sole) spese connessa alla soccombenza non
costituisce remora sufficiente per evitare condotte
processuali deresponsabilizzate ed agnostiche
Alla perseveranza della condotta censura. Laddove il
soccombente non abbia manifestato alcuna resipiscenza
perseverando con argomenti manifestamente errati. E
l’evidente caso che ci occupa dove la giustificazione
addotta dall’ente territoriale per non partecipare alla
mediazione è stata:
puramente di stile e reiterabile all’infinito (come dire che
Roma Capitale predica che NON intende partecipare in questo
genere di cause alla mediazione benché obbligatoria); ed
erronea, non essendo, come dimostrato supra, la divergenza
di opinioni nel merito (in particolare, dell’allogazione
delle responsabilità nei rapporti fra
committente-appaltatore) un buon motivo per non partecipare
alla mediazione, trattandosi di una precondizione (logica
prima ancora che giuridica) della stessa ragione d’essere
dell’istituto mediazione (peraltro obliterante il segmento
della causa: danneggiata-ente territoriale, in tesi
autonomamente mediabile senza pregiudizio delle ragioni del
Comune).
Alla necessità che in relazione alle caratteristiche del
soggetto responsabile, ed in particolare alla sua capacità
patrimoniale, la condanna ex art.96 co III° cpc costituisca
un efficace deterrente ed una sanzione significativa ed
avvertibile. Nei confronti di un’amministrazione pubblica
tale provvedimento acquista maggiore efficacia, tale da
essere in grado di sensibilizzare direttamente il
funzionario responsabile e quello titolare del rapporto
organico, se accompagnato dalla trasmissione degli atti
all’Organo competente (Procura Generale della Corte dei
Conti) per l’accertamento del danno erariale (in questo caso
commisurabile quanto meno alla somma per la quale viene
emessa condanna ex art. 96 co. III° cpc; ed al contributo
unificato), incombente che, valutata ogni circostanza,
devesi senz’altro adottare in questo caso.
Per la concreta determinazione della somma si ritiene di
adottare, quale valido ed obiettivo parametro di
riferimento, una somma di ammontare multiplo di quella
liquidata a titolo di sorte.-12- Il danno erariale –
Trasmissione degli atti alla Procura Generale della Corte
dei Conti Come da ordinanza che segue.
-13- Le spese processuali.
Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni –
orientative per il giudice che tiene conto di ogni utile
circostanza per adeguare nel modo migliore la liquidazione
al caso concreto- della l.24.3.2012 n.27 e del D.M.
Ministero Giustizia 10.3.2014 n.55) vengono liquidate come
in dispositivo.
Vanno compensate quanto alla società appaltatrice nei
confronti di Roma Capitale e la sua Assicurazione attesa la
ingiustificata non adesione al procedimento di mediazione
dei predetti soggetti, per quanto supra giudicato
La sentenza è per legge esecutiva.-
P.Q.M.
definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda
eccezione e deduzione respinta, così provvede:
CONDANNA Roma Capitale in persona del Sindaco pro tempore al
risarcimento dei danni che liquida in favore di G.M. nella
complessiva somma di €. =7.200,00 e in favore di P.T. nella
complessiva somma di €. 1.800,00 oltre interessi legali
dalla data della sentenza al saldo;
CONDANNA Roma Capitale in persona del Sindaco pro tempore al
pagamento delle spese di causa che liquida in favore delle
attrici in complessivi €. 6.000,00 per compensi oltre IVA,
CAP e spese generali;
CONDANNA Roma Capitale in persona del Sindaco pro tempore al
pagamento in favore delle attrici ai sensi dell’art.96
co.III° della somma di €. 12.000,00 ;
CONDANNA Roma Capitale in persona del Sindaco pro tempore al
pagamento in favore dell’Erario di una somma corrispondente
al contributo unificato dovuto per il giudizio, mandando
alla cancelleria per la riscossione;
CONDANNA la XXX srl in persona del legale rappresentante pro
tempore al rimborso in favore di Roma Capitale di ogni somma
erogata nei confronti delle attrici, in dipendenza del punto
1) ;
CONDANNA la spa altra assicurazione a manlevare la srl XXX
di ogni esborso;
COMPENSA le spese di causa fra la XXX srl e Roma Capitale e
spa ….Assicurazioni ….;
CONDANNA la spa …Assicurazioni…al pagamento in favore
dell’Erario di una somma corrispondente al contributo
unificato dovuto per il giudizio, mandando alla cancelleria
per la riscossione;
DISPONE con separata ordinanza, l’invio degli atti e della
sentenza alla Procura Generale della Corte dei Conti per la
valutazione dei danni erariali;
SENTENZA esecutiva Roma lì 14.7.2016 Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi
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Manda la cancelleria per le
comunicazioni alle parti costituite. |
Pavia, 30 marzo 2015
Il giudice
Dott. Giorgio Marzocchi |
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