|
Improcedibilità della domanda giudiziale se
la parte non è presente personalmente al primo
incontro informativo |
|
Tribunale di Napoli Nord
III Sezione Civile
In persona del giudice unico, dott. A.S. Rabuano
Ha pronunciato la presente
SENTENZA
Nel processo n. 581/17 R.G. |
|
TRA
S.R.L.
OPPONENTE
E
BANCA
OPPOSTA
FATTI RILEVANTI
E
RAGIONI GIURIDICHE DELLA DECISIONE |
|
1 . Il Tribunale di Napoli Nord,
in base al ricorso ex art. 633 c.p.c. della …. intimava agli
opponenti, in solido tra loro, il pagamento della somma di
euro 254.156,96, oltre interessi convenzionali dall’1.7.2016
al tasso convenzionale del 14,25% – per saldo debitore del
conto corrente n. … acceso dalla società opponente presso
l’agenzia di Villaricca della … in data 19.11.2001, nonché
spese di procedura.
Gli opponenti deducevano che l’Istituto bancario, anche in
violazione dei principi di correttezza e buona fede, oltre
che delle specifiche prescrizioni contrattuali, aveva
arbitrariamente ed unilateralmente revocato il fido concesso
alla società senza comunicarlo alla stessa correntista e ai
fidejussori.
Inoltre, evidenziavano che la banca aveva atteso più di tre
anni per agire in via giudiziale, nel corso dei quali aveva
continuato a inviare all’indirizzo corretto della società
gli estratti conto trimestrali, in cui non vi era alcuna
traccia della revoca del fido. La … . peraltro, aveva
maggiorato il tasso di interesse applicato apparentemente
fino al 14,15% su base annua, con conseguente lievitazione
del debito.
Gli opponenti evidenziavano che tra i documenti prodotti in
giudizio avevano individuato la lettera di rinnovo delle
fidejussione che il funzionario dipendente della opposta
addetto all’ agenzia di Villaricca … aveva fatto firmare il
19.7.2003 con un parte in bianco, cioè quella relativa
all’importo garantito, riempita successivamente, in loro
assenza, e maggiorato da euro 180.000,00 ad euro 280.000,00.
Quindi essi disconoscevano la genuinità del documento ai
sensi dell’art. 214 c.p.c., con riguardo alla conformità
della copia digitale versata in atti rispetto all’originale
e formulavano espressa eccezione di abusivo riempimento
“contra pacta” e, quindi, di inadempimento del mandato “ad
scribendum”. Precisavano che il loro nominativo era stato
segnalato illegittimamente al CRIF.
Gli opponenti inoltre contestavano l’esistenza di
commissione di massimo scoperto, la natura usuraria degli
interessi, l’inesigibilità del credito alla banca.
Nel formulare le proprie conclusioni le parti domandavano al
Tribunale: “Nel merito, in via principale accertare
l’inesigibilità del credito della … nei confronti della
società correntista e dei fidejussori e, pertanto, revocare
il d.i. e rigettare la domanda della opposta. In via
gradata, accertare e dichiarare che il debito della società
correntista ascende ad una somma significativamente
inferiore rispetto a quella ingiunta, per la nullità delle
clausole di applicazione di interessi passivi e commissioni
di massimo scoperto, da verificare all’esito di CTU
contabile, che provveda alla quantificazione delle somme
indebitamente chieste dalla banca ovvero già pagate dalla
società correntista, ove praticato interesse a saggio
superiore alla soglia usuraria; in ogni caso, accertare la
nullità delle fidejussioni del 17.7.2013, siccome
sottoscritte su foglio parzialmente bianco, abusivamente
riempito, e, per l’effetto, dichiarare la validità ed
efficacia delle fidejussioni del 13 / 17.9.2002, come
rinnovate l’8.5.2003. In ogni caso, condannare l’opposta al
pagamento di spese e competenze del giudizio, con
distrazione al difensore antistatario, ex art. 93 c.p.c.”.
La … si costituiva in giudizio, contestava le difese degli
opponenti, chiedeva la conferma del titolo monitorio.
Il giudice con ordinanza del 12 maggio 2017 concedeva la
provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo e fissava i
termini per l’instaurazione della procedura di mediazione.
Svoltasi l’istruttoria, il giudice, ritenuto non procedibile
il giudizio, fissava l’udienza del 13.12.18, autorizzava le
parti a rassegnare le rispettive conclusioni e concedeva i
termini, di cui all’art. 190 c.p.c. .
2 . Improcedibilità della domanda ex art. 633 c.p.c. e delle
domande di parte opposta.
La domanda formulata da parte opposta con il ricorso ex art.
633 c.p.c. e da parte opponente con l’atto di citazione sono
improcedibili per violazione dell’art. 5 co. 2 D.Lgs.
28/2010.
2.1 . L’art. 5 co. 1bis cit dispone che: “Chi intende
esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia
in materia di condominio, diritto reali, divisione,
successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione,
comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno
derivante da responsabilità medica e sanitaria e da
diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di
pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è
tenuto, assistito dall’ avvocato, preliminarmente ad
esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente
decreto ovvero i procedimenti previsti dal decreto
legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, e dai rispettivi
regolamenti di attuazione ovvero il provvedimento istituito
in attuazione dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi
in materia bancaria e creditizia di cui al decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive
modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento
del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale. … L’improcedibilità deve essere
eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’
ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice,
ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è
conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del
termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede
quando la mediazione non è stata esperita, assegnando
contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per
la presentazione della domanda di mediazione”.
L’art. 5 co. 2 bis prevede che quando l’esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale la condizione si considera avverata
se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza
l’accordo.
L’art. 8 co.1 D.Lgs. cit. nel regolare il primo incontro
dispone: ”All’atto della presentazione della domanda di
mediazione, il responsabile dell’organismo designa un
mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre
trenta giorni dal deposito della domanda. … Al primo
incontro e agli incontri successivi, fino al termine della
procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza
dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore
chiarisce alle parti la funzione e le modalità di
svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello
stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati
a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di
mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.
Nelle controversie che richiedono specifiche competenze
tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori
ausiliari”.
Le questioni che si devono esaminare sono le seguenti e
precisamente:
1) individuazione, nel processo introdotto con ricorso ex
art. 633 c.p.c. e con riferimento specifico alla fase di
opposizione, della parte che ha l’onere di attivare la
procedura di mediazione;
2) se la procedura di mediazione deve ritenersi iniziata con
la semplice proposizione della domanda dinanzi all’organismo
della mediazione ovvero solo se, non sussistendo ragioni
ostative rappresentate dalle parti, inizi la discussione
della controversia;
3) se è necessario, ai fini della verificazione della
condizione di procedibilità, che le parti partecipino
personalmente al primo incontro.
4) la natura delle ragioni che le parti devono rappresentare
come elementi ostativi allo svolgimento della procedura di
mediazione.
Il Tribunale ritiene, sul piano metodologica-ermeneutico,
che le incertezze interpretative della normativa dettata
dagli artt. 5 e ss. D.Lgs. 28/2010 debbano essere risolte
tramite il ricorso al criterio interpretativo di tipo
teleologico, cioè, verificando gli interessi che il
legislatore vuole perseguire, e assiologico, accertando il
valore di questi interessi nell’ambito del nostro
ordinamento e individuando, tramite la tecnica del
“bilanciamento”, la regola diretta a realizzare il miglior
soddisfacimento di tutti gli interessi giuridicamente
rilevanti.
Svolta la premessa di natura metodologica, questo giudicante
osserva che la normativa dettata dal D.Lgs. 28/10 persegue,
sul piano pubblicistico, il fine di limitare il contenzioso
dinanzi all’autorità giudiziaria, tutelando, in modo
mediato, l’efficienza del sistema giudiziario e perseguendo,
sul paino privatistico, l’obiettivo di disporre uno
strumento flessibile di soluzione delle controversie che
consenta alle parti la migliore composizione della lite e,
conseguentemente, la puntuale realizzazione dei rispettivi
interessi.
La finalità pubblicistica è perseguita dal legislatore
stabilendo, con l’art. 5 D.Lgs. cit., la sanzione
dell’improcedibilità dal giudizio nel caso in cui non sia
stata promossa la procedura di mediazione, con la
precisazione, al co. 2 bis, che la condizione di
procedibilità si considera avverata se al primo incontro
l’accordo non è raggiunto.
Con riferimento al perseguimento della finalità privatistica
l’orientamento sopra rappresentato è corroborato dall’esame
del regime giuridico della procedura di mediazione, nel
dettaglio:
– dall’assenza, nel D.Lgs. 28/10 di norme che limitino sul
piano temporale, con la previsione di un regime di
preclusioni, e sul piano del contenuto la facoltà delle
parti di svolgere le proprie difese;
– dall’art. 3 co. 1, che rinvia al regolamento
dell’organismo di mediazione per la disciplina della
procedura;
– dagli artt. 8 e ss. secondo cui il mediatore si adopera
affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di
definizione della controversia (art. 8 co.3); imponendo il
dovere di riservatezza sulle notizie e dichiarazioni
acquisite nel corso della procedura (art. 9) e vietando che
le stesse possano essere utilizzate nel corso del successivo
giudizio (art. 10 co. 1); vietando al mediatore di deporre
sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni
acquisite nel procedimento di mediazione davanti
all’autorità giudiziaria e ad altra autorità con
applicazione al mediatore delle disposizioni dell’articolo
200 del codice di procedura penale e al suo difensore delle
disposizioni dell’art. 103 del codice di procedura penale;
riconoscendo al mediatore in caso di mancato raggiungimento
dell’accordo, del potere di formulare una proposta di
conciliazione (art. 11 co. 1). In particolare, l’art. 14 co.
2 lett. c) nel delineare gli obblighi del mediatore prevede
espressamente che lo stesso deve formulare proposte di
conciliazione nel rispetto dell’ordine pubblico e delle
norme imperative.
La particolare finalità perseguita con il D. Lgs. 28/10 di
predisporre un modello di soluzione delle controversie che
sia flessibile e idoneo a garantire il puntuale
soddisfacimento degli interessi delle parti è garantita dal
legislatore con la prescrizione della necessaria
partecipazione delle parti disponendo, in caso di assenza
priva di giustificazione, che il giudice, nel successivo
giudizio, applichi la sanzione pecuniaria nella misura del
contributo unificato e valuti la condotta delle parti come
argomento di prova.
Quindi, in conclusione, il legislatore ha previsto:
a) nel caso in cui non sia attivata la procedura di
mediazione ovvero nel caso in cui le parti non partecipino
al primo incontro la sanzione della improcedibilità;
b) nel caso in cui le parti non partecipino ai successivi
incontri, senza giustificato motivo, la sanzione pecuniaria
e la valutazione della condotta ai sensi dell’art. 116
c.p.c.. La ratio del diverso regime è giustificata dalla
particolare importanza del primo incontro, nel corso del
quale il mediatore deve informare le parti in ordine alla
funzione della mediazione e al suo svolgimento, e le parti
devono rappresentare la possibilità di svolgere la procedura
di mediazione.
Questa interpretazione è coerente con le finalità,
pubblicistiche e privatistiche, perseguite dal legislatore,
poiché è strumentale alla reale ed effettiva attivazione
della mediazione.
Una differente interpretazione risolverebbe la stessa
procedura in un mero adempimento burocratico con il semplice
deposito della domanda presso l’organismo di mediazione.
Tanto premesso sul piano dell’interpretazione della
normativa, il Tribunale rileva, relativamente alla prima
questione, che l’onere di impulso, in caso di giudizio
monitorio, deve essere posto a carico di chi presenta la
domanda giudiziale.
L’art. 5 co. 1 D.Lgs. 28/2010, nell’individuare il soggetto
onerato a dare impulso al procedimento di mediazione, non fa
riferimento a “Chi intende esercitare in giudizio
un’azione”.
Sul piano teorico-dogmatico si deve rilevare:
– il diritto di agire in giudizio è strumentale al diritto
sostanziale. Quindi quando il legislatore fa riferimento a
chi intende esercitare in giudizio un’azione fa riferimento
a chi è titolare del diritto sostanziale, di cui domanda
tutela in giudizio;
– l’opponente, il quale si limiti a contrastare la pretesa
dell’opposto, non esercita tecnicamente un’azione giudiziale
che, si ripete, è un diritto strumentale alla tutela di un
diritto sostanziale. Il diritto di azione è strutturato in
causa petendi e in petitum ed è rivolto al giudice per
ottenere un determinato “bene della vita”, l’opponente si
limita ad esercitare, salvo espressa e ulteriore domanda, un
mero onere diretto a contestare il diritto di controparte;
– ritenere che l’opposto abbia l’onere di attivare la
procedura di mediazione determinerebbe sul piano ermeneutico
il riconoscimento alla procedura di mediazione la natura di
condizione di ammissibilità, e non di procedibilità,
dell’atto di opposizione. Invero l’ opponente per impedire
il passaggio in giudicato del titolo monitorio e, quindi,
neutralizzare il rischio della definitività del
provvedimento giurisdizionale, avrebbe l’obbligo di attivare
la procedura di mediazione che, pertanto, sarebbe condizione
imprescindibile per l’accesso alla tutela dinanzi al
Tribunale divenendo condizione di ammissione dell’atto
oppositivo (cfr. Corte Cost. sentenza n. 123/18: “Secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, le ipotesi di
arbitrato previste dalla legge sono illegittime solo se
hanno carattere obbligatorio, e cioè impongono alle parti il
ricorso all’arbitrato, senza riconoscere il diritto di
ciascuna parte di adire l’autorità giudiziaria ordinaria
(sentenze n. 221 del 2005, n. 325 del 1998, n. 381 del 1997,
n. 152 e n.54 del 1996, n. 232, n. 206 e n. 49 del 1994, n.
488 del 1991, n. 127 del 1977)”.
Il Tribunale ritiene inoltre di dissentire dall’orientamento
di segno contrario espresso dalla Corte di legittimità con
provvedimento 24629/15, secondo cui l’ingiungente creditore,
attraverso il decreto ingiuntivo, ha scelto la linea
deflattiva coerente con la logica dell’efficienza
processuale e della ragionevole durata del processo e che
l’opponente ha il potere e l’interesse a introdurre il
giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa,
osteggiata dal legislatore. Invero, il legislatore dispone
l’onere di attivare la procedura di mediazione a carico di
colui che vuole far valere in giudizio un diritto tramite
un’azione; questa disposizione non può essere interpretata
violando il principio di difesa e stabilendo, in via
ermeneutica, l’onere, in caso di opposizione al titolo
monitorio, della parte che non vuole far valere un diritto
ma vuole semplicemente contrastare la pretesa di
controparte. Invero l’opponente ha come unico strumento per
impugnare il titolo e, quindi, per contrastare la pretesa di
controparte fondata su un provvedimento idoneo a passare in
giudicato, l’attivazione del processo di opposizione.
Infine il legislatore prevede, in caso di instaurazione del
processo di opposizione, che la mediazione deve essere
attivata solo dopo il provvedimento del giudice rispetto
alla esecutorietà del titolo monitorio. Se il legislatore
avesse voluto porre un onere a carico dell’opponente diretto
a prevenire l’instaurazione del giudizio avrebbe previsto
l’onere dello stesso di promuovere il procedimento di
mediazione prima della notifica dell’atto di citazione con
sospensione del termine di quaranta giorni per
l’introduzione dell’opposizione.
Peraltro, la concezione dell’autonomia del processo
monitorio e del processo di opposizione, con conseguente
qualificazione di quest’ultimo come giudizio di
impugnazione, è contraria alla struttura conferita dalle
norme codicistiche al giudizio monitorio, che è un processo
unitario articolato in una fase sommaria necessaria e in una
fase eventuale a cognizione piena introdotta dall’atto di
opposizione.
Inoltre, sostenere come fatto in dottrina che la
dichiarazione di improcedibilità del giudizio introdotto con
ricorso ex art.633 c.p.c. sarebbe una soluzione che non
trova riscontro in alcuna norma positiva vigente e che,
peraltro, stravolgerebbe alcuni capisaldi del diritto
processuale vigente, significa, sul piano
metodologico-ermeneutico, negare l’impatto sistematico che
ogni nuova norma ha sull’impianto ordinamentale
preesistente, che deve essere rimodulato, tramite
un’interpretazione evolutiva, per la realizzazione degli
interessi che il legislatore, con la nuova normativa, nel
caso di specie con la disciplina della mediazione, si
propone di realizzare.
Con riferimento alla seconda questione il Tribunale ritiene
che la procedura di mediazione deve ritenersi iniziata solo
se, non sussistendo ragioni ostative rappresentate dalle
parti, la parte onerata di attivare la procedura inizi la
discussione della controversia.
Tale orientamento risulta corroborato dai seguenti elementi.
L’art. 5 co.2 bis prevede che quando l’esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale si considera avverata se il primo
incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.
Se il legislatore avesse voluto subordinare il verificarsi
della condizione di procedibilità alla semplice
presentazione della domanda lo avrebbe espressamente
previsto.
Inoltre, ritenere che la disposizione in esame preveda il
semplice obbligo di presentazione della domanda ai fini
della procedibilità contrasterebbe con il canone ermeneutico
della salvaguardia dei dati normativi, invero si
procederebbe alla interpretatio abrogans del disposto di cui
all’art. 5 co. 1bis, che prescrive la necessaria
presentazione della domanda di mediazione per la
procedibilità del giudizio.
Inoltre, l’art. 5 co.2 bis, nel disporre che la condizione è
verificata “se il primo incontro dinanzi al mediatore si
conclude senza l’accordo”, prescrive non solo la necessità
della presentazione della domanda ma lo svolgimento del
primo incontro e l’esito negativo della discussione.
Questa interpretazione è coerente con la finalità
pubblicistica della normativa, che è quella di predisporre
un effettivo sistema alternativo di soluzione delle
controversie dirette a deflazionale e a rendere più
efficiente il sistema giudiziario, imponendo, pena
l’improcedibilità del giudizio, l’effettivo inizio della
mediazione con la comparizione delle parti dinanzi al
mediatore.
Il Tribunale, con riferimento alla terza questione sopra
indicata, ritiene che il legislatore nel prescrivere la
partecipazione delle parti ha inteso disporre la necessaria
presenza della parte personalmente ovvero, in caso di
giustificati motivi, di un procuratore munito di poteri per
transigere la lite senza obbligo di rendiconto, quindi con
pieni poteri di definizione del regolamento di interessi.
Infatti l’art. 8 nel regolare il primo incontro dispone: “Al
primo incontro (e agli incontri successivi fino al termine
della procedura) le parti devono partecipare con
l’assistenza dell’ avvocato. Durante il primo incontro il
mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di
svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello
stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati
a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di
mediazione e, nel caso positivo, procede con lo
svolgimento”.
Il legislatore prescrive letteralmente la presenza delle
parti con l’assistenza dell’avvocato, quindi è necessaria la
presenza personale della parte, quale titolare
dell’interesse oggetto della controversia.
La disposizione si giustifica proprio in relazione alla
finalità di consentire che tramite la procedura di
mediazione si realizzi un sistema flessibile di soluzione
delle controversie riconoscendo alle parti, quali soggetti
che possono valutare in modo esclusivo la loro posizione, la
possibilità di soddisfare in modo puntuale i rispettivi
interessi.
Quindi è necessario che le parti partecipino personalmente,
salvo la presenza di giustificati motivi.
Invero l’art, 8 prevede che, se l’assenza della parte è
ingiustificata, il giudice può tenere conto del suo
comportamento, sia esso attore o convenuto, ai sensi
dell’art. 116 c.p.c., e applicando la sanzione pecuniaria
pari all’importo del contributo unificato.
Infine, dalla lettura dell’art.8 si desume che la normativa
subordina l’inizio della procedura di mediazioen all’assenza
di ragioni impeditive, che devono essere rappresentate dalle
parti.
Non è condivisibile la conclusione operata in dottrina e in
giurisprudenza che considera la partecipazione personale
come un mero formalismo.
Invero, la partecipazione personale della parte, coadiuvata
dal proprio difensore, consente alla stessa una precisa e
puntuale valutazione dei propri interessi.
Invece, l’opposta interpretazione, che ritiene inutile la
comparizione personale delle parti, “trasforma” la procedura
di mediazione, prospettata dal legislatore come un efficace
strumento di soluzione alternativo delle controversie, in un
inutile e defatigante adempimento burocratico.
Inoltre, con riferimento alla mediazione da attivare da
parte di persone giuridiche e, in particolare, di banche, è
assolutamente necessaria la partecipazione del r.l. o di
soggetti che, inseriti nell’organizzazione dell’impresa,
abbiano contezza del programma commerciale (come l’acquisto
di crediti in blocco) dell’ente e dell’incidenza sullo
stesso e sui relativi utili della singola transazione.
Questo giudicante, con riferimento alla quarta questione
sopra indicata, ritiene che le finalità perseguite dal
legislatore impongono di ritenere che le ragioni ostative
all’inizio della procedura possono essere esclusivamente
oggettive e, comunque, non possono ridursi alla mera volontà
delle parti di voler procedere alla regolazione in sede
giudiziale della propria lite.
Infatti, seguendo una differente interpretazione della
normativa, si concluderebbe che il legislatore ha previsto
non un onere della parte attrice di iniziare la procedura di
mediazione ma una mera facoltà, frapponendo un ostacolo in
via ermeneutica alla piena realizzazione delle finalità
perseguite dal legislatore con l’istituto della mediazione.
Infine deve escludersi che la locuzione “circostanze
impeditive” utilizzata dal legislatore possa essere
interpretata (anche) come convinzione delle parti della
fondatezza sul piano giuridico della propria pretesa;
invero, se si seguisse tale orientamento, si perverrebbe a
un risultato ermeneutico irragionevole: il legislatore
porrebbe la controversia giudiziaria, quindi, la convinzione
delle parti della fondatezza giuridica della propria difesa,
sia come presupposto delle procedura di mediazione sia come
circostanza impeditiva della stessa.
2.2 Tanto premesso sul piano dell’interpretazione della
normativa indicata, il Tribunale rileva, con riferimento al
presente giudizio, che non si è verificata la condizione di
procedibilità, di cui all’art.5 co. 2 bis D.lgs. 28/10
atteso che :
-le parti, opponente e opposta, ciascuna per le proprie
domanda e salvo il sig. … in proprio, non hanno dimostrato
la partecipazione al primo incontro personalmente o con
soggetto munito di pieni poteri per transigere la lite,
fondati su procura senza obbligo di rendiconto;
– le parti, compreso …. , non hanno indicato le ragioni
oggettive, diverse dalla sussistenza della controversia, che
per le rispettive domande hanno impedito la prosecuzione
della mediazione.
3. Spese processuali
Il Tribunale, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., in ragione del
rigetto per improcedibilità della domanda:
– dichiara irripetibili le spese di lite sostenute nel
procedimento monitorio;
– compensa le spese della fase di opposizione.
P.Q.M.
Il Tribunale di Napoli Nord, nella persona del giudice dott.
A.S. Rabuano,
– revoca il decreto ingiuntivo n. … emesso dal Tribunale di
Napoli Nord e dichiara improcedibili le domande formulate
dalla …. ;
– dichiara improcedibili le domande degli opponenti;
– dichiara irripetibili le spese di lite sostenute nel
procedimento monitorio;
– con riferimento al giudizio di opposizione compensa le
spese di lite.
Aversa, 6 marzo 2019
Il Giudice, Dr. A.S. Rabuano |
|