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Nell'ambito della conoscenza del Villaggio Wahat al- Salam Neve Shalom in cui famiglie ebree e palestinesi vivono insieme nel mutuo rispetto delle loro culture, costruendo strumenti di educazione per una gestione pacifica del conflitto attraverso la Scuola per la Pace, abbiamo intervistato Giulia Ceccutti, membro del Consiglio esecutivo dell'Assciazione Italiana Amici di Nevè Shalom Wahaat as Salam che, come le sue 12 sorelle in altrettanti paesi del mondo, sostiene moralmente e materialmente il Villaggio favorendo i legami, i contatti, gli scambi tra i membri del Villaggio e coloro che, in Italia, ne condividono le idealità ed i progetti e ne sostengono le attività e le realizzazioni.
L'Associazione, su sollecitazione del fondatore del Villaggio Padre Bruno Hussar, è stata fondata nel 1991 da Renzo Fabris dirigente d'azienda e professore universitario pioniere in Italia del dialogo cristiano-ebraico.

Breve biografia
Nata a Milano, classe 1978, è laureata in Lettere moderne, lavora nell’editoria e ha collaborato a lungo con l’Associazione Amici di Lalla Romano per la redazione di testi.
Sensibile ai temi del dialogo e della gestione dei conflitti, segue dal 2004 la realtà israelopalestinese e delle associazioni che in quel contesto operano per la pace, collaborando con l’Associazione italiana che sostiene in Israele il Villaggio di Nevé Shalom – Wahaat as Salam, nel quale vivono insieme per scelta famiglie israeliane e palestinesi di cittadinanza israeliana.
L'INTERVISTA
a cura di Francesca Chirico
>Leggi tutte le interviste
>Leggi l'intervista a Samah Salaime
 
In Italia il Villaggio di Wahat al- Salam Neve Shalom è sostenuto dall'Associazione Italiana Amici di Wahat al- Salam Neve Shalom. Come nasce e come svolge la propria attività?
L’Associazione Italiana Amici di Wahat al- Salam Neve Shalom ha una lunga storia. È stata fondata nel 1991 su iniziativa del padre domenicano Bruno Hussar, fondatore del Villaggio insieme a Anne Le Meignen, e Renzo Fabris, tra i pionieri del dialogo cristiano-ebraico in Italia.
È nata per far conoscere qui l’esistenza e il messaggio del Villaggio di Wahat al- Salam Neve Shalom, e per sostenerlo. Ha una rete di soci attivi in tutta Italia.
Attuale presidente è Brunetto Salvarani, teologo, saggista, docente universitario e giornalista.
Insieme alle altre Associazioni internazionali di Amici, presenti in una decina di Paesi (USA, Francia, Inghilterra, Germania, Olanda…), favorisce quindi i contatti e gli scambi tra i membri del Villaggio e coloro che, all’estero, ne condividono gli ideali e i progetti.
L’Associazione si occupa di: sensibilizzare sui temi della pace e della gestione dei conflitti così come sono affrontati nell’esperienza di NSWAS attraverso incontri pubblici di presentazione e laboratori formativi nelle scuole e presso gruppi; promuovere le relazioni tra i cittadini del Villaggio e le realtà italiane interessate alla sua mission (Comuni, scuole, gruppi, associazioni…); raccogliere fondi per sostenere i progetti educativi.
Nell’ambito della formazione, promuove circa ogni due anni una borsa di studio per inviare giovani studenti italiani a compiere un tirocinio professionalizzante di sei mesi al Villaggio, a stretto contatto con l’Ufficio comunicazione e tutte le istituzioni educative: scuola primaria bilibgue e binazionale, Scuola per la pace, Centro Spirituale Pluralista con il suo Garden of Rescuers, il Giardino dei Giusti creato grazie a Gariwo - La Foresta dei Giusti (https://it.gariwo.net/).
L’Associazione organizza infine, quando possibile, dei viaggi di conoscenza del contesto israelopalestinese, della realtà del Villaggio e di organizzazioni per la pace israeliane e palestinesi.

Rispetto al conflitto israelo-palestinese c'è qualcosa nell'informazione dei media occidentali che non viene sufficientemente spiegato o che viene semplificato?
È una domanda molto complessa. È difficile gettare uno sguardo complessivo sui media in Occidente. Vi sono forti differenze su come viene presentata l’informazione su quell’area e su quel conflitto tra Paese e Paese. Differenze che toccano anche la sfera del linguaggio, dei termini utilizzati. Possiamo dire qualcosa però rispetto all’informazione in Italia.
Sui media italiani assistiamo a una pressoché totale assenza di informazione rispetto a quanto accade nella vita quotidiana dei Territori Palestinesi e a Gaza. Accanto all’assenza di notizie e all’assenza di una narrazione sulla Palestina, riceviamo un’informazione nel complesso acritica su Israele. Un’informazione di questo tipo non aiuta a ‘leggere’ le situazioni, non aiuta le persone a porsi e porre domande, elaborare opinioni critiche, ragionate. Opinioni che tengano conto della complessità del conflitto, della lunga storia che c’è dietro, della molteplicità di aspetti e sfaccettature che compongono il quadro. Anche la società israeliana è profondamente sfaccettata, plurale e diversificata al suo interno. Pochissimo di tutto questo appare nei nostri media. Certo non si tratta di un’operazione semplice – è decisamente più facile dividere tutto in due blocchi contrapposti – e certo vi sono (poche) eccezioni, per fortuna.

Cosa risulterebbe necessario per risolvere il conflitto?
Anche questo è un interrogativo molto complesso, a cui è difficile dare risposta. Rispondo quindi semplicemente con una battuta, riprendendo una frase di Samah Salaime – direttrice dell’Ufficio comunicazione di Wahat al- Salam Neve Shalom – che mi aveva colpito. «La pace è possibile. E noi sappiamo come farla». Questa è la convinzione che anima gli abitanti del Villaggio oggi, nonostante tutto.
Per risolvere il conflitto occorre innanzitutto affrontarlo, prenderne atto, rimetterlo al centro del tavolo delle discussioni, politiche e non. Occorre riconoscere l’altro come interlocutore, legittimarlo come tale. Poi prendere esempio da modelli di convivenza che hanno avuto successo: è il caso del Villaggio, che esiste da oltre 50 anni, e che continua a resistere, battersi per la pace, crescere e formare giovani generazioni. Un modello concreto e replicabile, che ha molto da insegnare.

Dialogo e rispetto delle diversità: sono la chiave di lettura dell’attività del Villagio?
Aggiungerei, prima della parola “dialogo”, il termine “ascolto”. Ascolto dell’altro e dialogo formano un binomio inscindibile. Senza vero ascolto, come sappiamo, non può esserci un dialogo autentico. È questo ciò che si insegna alle bambine e ai bambini della scuola del Villaggio e a quanti frequentano i corsi della Scuola per la pace. È la premessa che si respira entrando nella “Casa del silenzio”, la cupola bianca di Doumia – Sakinah, unico spazio dedicato alle fedi.
Confermo che il rispetto dell’altro, necessariamente diverso da me, è l’altro nodo fondante della vita al Villaggio e del suo metodo educativo. Un rispetto cui si giunge, anche e soprattutto, attraverso la conoscenza dell’altro e della sua cultura, attuata in primo luogo grazie alla conoscenza della sua lingua. Nella scuola primaria si cerca di portare le bambine e i bambini – in ogni classe divisi per metà tra ebrei e palestinesi – a un pari livello di conoscenza di ebraico e arabo. Al Villaggio si tengono corsi di arabo per gli adulti (l’ebraico infatti, va ricordato, è perfettamente conosciuto dai palestinesi che abitano in Israele). Questo perché dalla lingua passa e si esprime un intero mondo, una cultura, un pensiero, una storia, un’identità, e padroneggiare la lingua dell’altro è il primo passo, necessario, per conoscerlo e ri-conoscerlo, mettersi in dialogo con lui alla pari, quindi rispettarlo.

Contatti:
oasidipace.org - sito Associazione Italiana Amici di Neve Shalom-Wahat al-Salam
wasns.org - sito del Villaggio

Ci siamo lasciati con la promessa di "un passaggio al Villaggio" quando torneremo in Israele. Nel frattempo ringraziamo Giulia e tutti coloro i quali attraverso la Scuola per la Pace si adoperano per costruire un mondo pacificato dai conflitti. Non è solo un lavoro la mediazione.
 
     
     
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